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Boston Strong

In questo momento Boston è uno spettacolo di colori: sembra che le piante si siano svegliate assieme, dai tulipani, alle magnolie, al glicine, tutte le strade sono in fiore. Anche il Charles, il fiume che ci separa da Cambridge, è pieno di barche a vela, tutte colorate a seconda dell’università e dell’equipaggio. I 250.000 studenti sembrano tutti a spasso a festeggiare, e con loro altrettanti turisti venuti ad accompagnare amici e parenti che corrono la maratona. 

Sia gli studenti sia gli atleti sono un tripudio di colori, tutti festosi in vista della corsa di lunedì 17 aprile, Patriots’ Day, festa cittadina.

È sicuramente il giorno più caro ai bostoniani: si celebra l’inizio della guerra d’indipendenza (19 aprile 1775), parte il campionato di baseball al mitico stadio Fenway, e 30.000 corridori corrono la centoventisettesima edizione della maratona, incitati da una folla infinita lungo tutto il percorso di gara. Quest’anno celebriamo anche i dieci anni dall’attentato terroristico che uccise tre spettatori, causò l’amputazione di quattordici, e ferì 281 con l’esplosione di due pentole a pressione piene di schegge.

Quel fine settimana ero a spasso coi bambini, ricordo bene l’incertezza e la paura, vedendo centinaia di agenti armati che non sapevano bene chi cercare, se ci fossero altri ordigni: ognuno scappava o si rifugiava in casa con una discreta dose di panico. La caccia all’uomo si concluse con l’uccisione di uno e la cattura del secondo terrorista, condannato all’ergastolo senza speranza di uscire dal carcere. Ma la città reagì all’attacco prima ancora della cattura dei colpevoli: due studenti coniarono il motto “Boston Strong” (la forza di Boston), che in un amen fu fatto proprio da tutti.

Da quel momento le istituzioni han fatto di tutto per proteggere il percorso, aumentare la sicurezza di partecipanti e spettatori, sapendo che è impossibile azzerare il rischio. Nonostante questo, ogni anno aumentano partecipanti e spettatori, animati da quella che è una sfida con sé stessi, il proprio dolore, la fatica, la paura di non farcela. Ed è questo spirito, Boston Strong, che vedi camminando per la città: per ognuno sarà un’impresa. I tratti collinari, il meteo, il cercare di superarsi, il tifo rumoroso lungo tutto il percorso, il retropensiero della polizia dappertutto e della sicurezza, il male ai piedi, gambe, schiena. La città è tutta in strada, per dare forza agli atleti e spingerli al traguardo.

Il carattere di qualsiasi città si vede in determinate ricorrenze: nel caso di Boston c’è questo misto di sfida e sofferenza, che a Patriot’s Day diventa una festa generale, dove accogliamo decine di migliaia di persone da tutto il mondo per tre giorni di festa, corse, colori, bevute inumane di birra, e poi via, nonostante tutto, al traguardo.

Eccoci qua, pronti, per un’altra corsa, altra sfida.


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In questo numero hanno scritto:

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Umberto Pietro Benini (Verona): salesiano, insegnante di diritto e di economia, ricercatore di verità
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro