Essendo vecchio ne ho viste di tutti i colori. Ho imparato, fin da piccolo, che l’atto basico degli umani è, da sempre, la guerra. A 9 anni per una bomba (alleata) ci crollò la casa in testa (ci eravamo rifugiati in cantina) e tre mesi dopo una scheggia di una bomba (alleata), mi portò vicino alla morte. Tuttora il sibilo della “mia bomba” è diventato il mio acufene privato.
Ero un giovanotto, quando stava per toccare a me andare a morire per la Patria. Furono degli scienziati occidentali (siano benedetti) che “tradirono”, cedendo i segreti della Bomba H ai sovietici, evitando così la Terza Guerra Mondiale. Avevo letto Jean-Paul Sartre “Quando i ricchi fanno la guerra, sono i poveri a morire”. Una verità assoluta, costante nei secoli dei secoli, e nella nostra famiglia lo avevamo sperimentato, sia nella Prima che nella Seconda Guerra Mondiale.
Come editore, scrittore, giornalista ho capito che se vuoi scrivere o pubblicare di guerra, senza essere vilipeso dagli idioti dell’una o dell’altra parte, devi farlo quando su di essa si è depositata la polvere della storia.
Quindi, questo Cameo ho cominciato a scriverlo dopo le ore 5,34 di lunedì 20 marzo 2023. Erano passati vent’anni dal 20 marzo (allora era un giovedì) del 2003. Allora, in poltrona, davanti alla tv, assistetti a un hollywoodiano bombardamento di Baghdad, ripreso proprio dalle terrazze dell’Hotel Al Rashid, dove negli anni Ottanta soggiornavo, quando il lavoro mi portava in Medio Oriente (permettetemi un po’ di auto pubblicità, alle pagine 137-142 di “Una Storia Operaia 1934-2022” troverete un racconto personale del mio incontro con Saddam Hussein e con il suo vice, cattolico, Tereq Aziz, al tempo della Guerra Iraq-Iran. Allora gli Establishment occidentali imponevano a noi CEO di essere a fianco dell’Iraq, vendergli qualsiasi cosa, ma assolutamente non solo vendere nulla all’Iran, ma non avere neppure contatti. Di contro, ricordo come erano eccitati quei colleghi che vedevano cadere le bombe su Baghdad, scordandosi che sotto c’erano tanti bambini iracheni.
Per essere sicuro di non scrivere cose errate, faccio riferimento al Corriere del Ticino di oggi. L’invasione avvenne per uno scopo che più nobile non si può, “esportare la democrazia” in Iraq, e deporre il criminale di guerra Saddam Hussein. Gli americani chiamarono Iraqui Freedom l’operazione speciale che ne seguì.
In pochi anni, Saddam Hussein era passato da alleato strategico dell’Occidente a nostro nemico mortale, peggio, criminale di guerra. Qualche settimana prima, il 5 febbraio, al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il mitico Colin Powell (morto di Covid a 84 anni) aveva pronunciato il mitico “discorso dell’antrace”. Ricorda il Corriere: “Powell, con un gesto teatrale, aveva mostrato una fiala che conteneva una polvere bianca, mentre sullo schermo alle spalle scorrevano immagini satellitari, grafici, foto che provavano l’esistenza di un grande programma di produzione di armi chimiche e batteriologiche”. Nel mio infinito amore per l’America ci credetti, come un allocco.
In realtà era tutto falso, tutto costruito a tavolino dalla CIA per giustificare la scelta politica di George W Bush di invadere comunque l’Iraq, suggerita dai suoi compagni di merenda neocon, americani e inglesi, e da Tony Blair (buono quello!). Da allora sono diventato prudente (molto) sulle parole dei politici del mondo occidentale, specie anglosassoni e nordeuropei.
Cosa successe poi agli invasori-criminali che scatenarono questa guerra dove morirono 4.599 americani (poveri) e 584.000 iracheni e siriani? Nulla, i leader occidentali fecero tutti gli gnorri, così i tribunali internazionali per i crimini di guerra. Nella stessa pagina del Corriere del Ticino dove ci sono questi numeri osceni, c’è un’intervista allo storico Riccardo Redaelli della Cattolica. Giornalisticamente è tutto impeccabile.
Cosa ci rimane di quella sconcezza storica? Nel mondo giornalistico è tassativamente vietato di usarla per fare paralleli con altre guerre in cui siamo stati coinvolti noi occidentali (“Noi siamo noi, loro sono loro”). Solo dodici anni dopo Tony confessò “Forse George ed io ci sbagliammo”, Colin Powell fu tenerissimo con se stesso “Quella provetta rimarrà una macchia nella mia carriera”. Trovai meraviglioso, a fronte di quasi 600 mila morti, preoccuparsi del suo curriculum.
Comunque, tranquilli, vi do appuntamento al 24 febbraio 2042, per il ventesimo anniversario della Guerra Ucraina, ci scriverò un Cameo. Allora vuoterò il sacco, purtroppo dovrò farlo in cinese, se nel frattempo l’avrò imparato e la censura (cinese) me lo permetterà. Prosit!