Deus ex machina Giuseppe Frangi, il curatore della mostra di cui la conferenza è stata una costola, che con spirito lieve ci ha chiamato tutti a raccolta a Domodossola.
Io ero lì perché il mio “Ritratto di ritratto” (un grande ritratto a olio di Monica Falocchi a partire dalla foto di Frazzetta) ha inaugurato per l'appunto la mostra “Umano molto umano”, un’esposizione totalmente calata nel presente, la cui fruizione è stata ed è libera, “su piazza”. Le opere, infatti, sono state esposte a turno nella grande vetrina di un palazzo del centro città.
L’intento del "Ritratto di un ritratto" era molteplice: proporre al pubblico un’interazione tra la “realtà”, cioè Monica, e la tensione anche mediatica di quei giorni, “la cronaca fotografica ”con la sua grande capacità di cogliere l’attimo, e infine intrecciare il tutto con la mia “riscrittura artistica”. Il confronto su questo, durante la conferenza, è stato interessantissimo.
Non tutti i linguaggi sono uguali e il compito della pittura, a mio avviso, è quello di far decantare le emozioni e liberarle dalla morsa dell’attualità, per spingerle verso un sentimento di verità che resista al tempo. In questo senso la pittura è onnivora e riesce a cogliere ogni nuovo sguardo, che sia esso naturale o artificiale, in quel particolare modo che Cézanne definiva il “pensare in pittura”. La pittura si appropria di ogni cosa visibile per trasformarla con le mani e con gli occhi in un’opera che è lavoro umano e spirito umano a dispetto di ogni pandemia.
Al di là dei miti contemporanei, perché Domodossola non è New York e Casa De Rodis non è il Moma, alle volte - come mi è accaduto venerdì scorso - ci si rende conto di come le possibilità di approfondimento non sempre crescano negli spazi “giusti” secondo la vulgata mediatica, o peggio ancora in tivù, ma fioriscano in luoghi periferici, diventando così preziose e uniche. Il gran finale della mostra è il “ Ritratto della madre” di Umberto Boccioni, in esposizione fino al 17 ottobre. Un’occasione per visitare quel luogo incantevole.