Vita d'artista


La sposa del vento

“Gli artisti custodiscono la fiducia che un’idea sia più forte, più giusta e degna della potenza materiale del denaro.”
Oskar Kokoschka

Ho riguardato con piacere il primo catalogo da me acquistato della mostra dei disegni ed acquarelli di Kokoschka, curata da Serge Sabarsky nel lontano 1984.

La citazione è tratta da un testo scritto dall'artista, intitolato “Come mi vedo”, una sorta di breve autobiografia, intensa, con digressioni sulla pace tra i popoli, sul valore dell’educazione e della scuola, sull’economia che getta i suoi tentacoli intorno alla terra. È stato scritto nel 1936, a cinquant’anni.

L’ho tirato fuori dalla mia biblioteca dopo che mi è capitato in mano un libro, “La sposa del vento” di Scilla Bonfiglioli, che mi ha lasciato un po’ perplessa. È tipico di quest’epoca scaldare un po’ le vite degli artisti per renderle piccanti, ne si vede molte anche al cinema. Il libro narra della passione struggente dello schivo Kokoschka per Alma Mahler, vedova di Gustav, il compositore. Una passione che travolge entrambi e finita a causa dell’eccessiva possessività dell’artista.

Questa passione lascia però il capolavoro indiscusso “La sposa nel vento” (1913), un commiato all’amante. È un quadro allegorico raffigurante lo stesso Kokoschka: l’impasto di colori è freddo e scuro, la pittura affrettata e irruente. Ritrae Alma che nella notte dorme serena sul petto di Oskar, lui invece tiene gli occhi aperti, lascia che il fantasma di Gustav si impossessi di lui, in un delirio composto di gelosia e ossessione. Lo spazio intorno li assorbe come in un vortice, anche le lenzuola nelle quali sono avvolti partecipano a quelle spirali. Quel quadro nella sua penetrante bellezza, è permeato di angoscia, agitato com’è nel suo movimento tempestoso.

Dopo la loro separazione, l’artista in pieno spirito avanguardistico, contatta Hermine Moss, fabbricante di bambole di Dresda e le ordina una bambola dalle fattezze dell’amante. Il carteggio tra i due è forse uno dei più incredibili epistolari dell’epoca, con le lettere accompagnate da scrupolose annotazioni e accurati disegni anatomici, piene di stravaganti richieste. La bambola sarebbe dovuta essere grande al naturale e avere una bocca che si aprisse per mostrare la lingua e i denti: le pieghe della pelle, la consistenza dei capelli, tutto era stato minuziosamente descritto. La bambola in verità non venne fuori un granché, ciò non di meno l’artista se la portava in giro, a teatro come ai balli. Ma un giorno, dopo alcuni dileggi di amici artisti, Kokoschka afferrò il fantoccio, e tagliandogli la testa lo abbandonò in giardino per seppellirlo, in mezzo una macchia di vino rosso e al vicinato che pensò ad un orrendo omicidio. L’artista rinsavì in quel gesto simbolico, dissolvendo la follia di cui era avvolto.

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Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
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Guido Saracco: già Rettore Politecnico di Torino, professore, divulgatore, ingegnere di laurea, umanista di adozione.