... esegue in tutto l’arco della sua vita, mettendo bene in luce ciò che muove l’artista: non futile compiacimento di sé, ma la passione di conoscere, aldilà della diversità dei costumi, della luce, del momento della vita, quell’identità che incessantemente si sottrae.
Davanti a se stesso Rembrandt vuole, sia ciò che resta, sia ciò che passa, l’evidenza e il mistero, l’impronta autentica della vita anche se avvolta sotto un apparato da sogno: il bel cavaliere con la catena d’oro, lo sposo felice che tiene la sua sposa sulle ginocchia, l’incisore al tavolo di lavoro, il pittore davanti al cavalletto. E quando si inoltra nelle ombre degli anni, tocca il punto più intenso e profondo di se stesso, e noi pure lo tocchiamo. Più diventa padrone di sé più si spoglia e diventa essenziale, più invecchia e più i suoi autoritratti entrano, in un chiaroscuro di gioie e sofferenze, in una pienezza interiore libera da qualsiasi schema, di una libertà superiore al destino.
In un tempo senza smartphone in cui l’autoritratto era appannaggio dei soli artisti, gli unici in grado di portare memoria di sé nella storia, la ricerca interiore è intrinsecamente connessa alla pittura: un tentativo di disvelamento, che anche oggi si cerca di maneggiare, maldestramente, complice l’ignoto di uno specchio, o di una fotocamera, dell’ignoto della nostra coscienza. Non se ne contano i capolavori: dal semplice disegno color seppia di Leonardo, alla testa mozzata di Golia nelle mani di David adolescente, di Caravaggio, o quello di Bocklin con la Morte sullo sfondo che suona il violino. Fino ad arrivare al celebre autoritratto di Van Gogh dopo essersi reciso l’orecchio, o a quello di Munch, “all’inferno”, o Egon Schiele con un enorme e rosso membro in erezione, turbano per la sincerità, la passione, la libertà espressiva. La lista ovviamente è lunga: da Picasso a Frida Kahlo che ne fa proprio la sua cifra stilistica, passando da Bacon a Lucien Freud anche lui nudo in studio con le scarpe slacciate e la tavolozza nelle mani; Warhol en travesti, Alighiero Boetti che si sdoppia, Luigi Ontani come Gesù Cristo, Marc Quinn che si fa un autoritratto in forma di scultura addirittura usando il suo stesso sangue raggelato … ma a chi spesso ripenso è una piccola opera di Vincenzo Agnetti, del 1971, in cui si legge una frase sibillina su fondo nero che recita: ”Quando mi vidi non c’ero”.