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Diplomazia e cooperazione internazionale per evitare il peggio?

Nel 2025, il Global Peace Index (GPI) ha raggiunto il minimo storico: 59 conflitti armati statali sono attivi - il numero più alto dal secondo dopoguerra – e si sono registrati 152.000 morti per ragioni conflittuali nel solo 2024. Non meno allarmante è l’impatto economico globale degli scontri: quasi 20.000 miliardi di dollari, pari all’11,6 % del PIL mondiale. Per carità, commesse in crescita per armatori e ri-costruttori!

Il World Economic Forum definisce questo contesto "grande frammentazione". Crescono le tensioni dovute all’ascesa di potenze regionali (Turchia, Iran, Arabia Saudita, India, Brasile, Sudafrica, Indonesia, ecc.) e a un’imprevedibile competizione tra grandi attori globali (Cina vs USA). In parallelo, si diffondono nuove tecnologie belliche (droni, cyberwarfare) che abbassano il livello d’ingaggio e complicano le dinamiche di controllo della crisi ma soprattutto allontanano i carnefici dagli occhi delle loro vittime. Di fronte a questa dinamica distruttiva, devono emergere soluzioni concrete per prevenire l’inflazione dei conflitti, evitando un’escalation potenzialmente incontrollabile. La chiave diplomatica e concertativa a livello internazionale deve battere un colpo.

Il concetto di “preventive diplomacy” è ormai consolidato sin dalla fine della Guerra Fredda: l’azione tempestiva per evitare che dispute locali degenerino in conflitto armato include allerta precoce, investigazioni, misure di fiducia e presenza preventiva di peacekeepers. Un esempio virtuoso fu la missione UNPREDEP in Macedonia (1995 99), primo impiego documentato di questo approccio. Oggi, l’ONU e i suoi organismi regionali possono intensificare questi strumenti. Ad esempio, il Consiglio di Sicurezza ha adottato, nel solo 2025, decine di risoluzioni sulla protezione dei civili e paesi come Sud Sudan, Haiti, Libia, Repubblica Centroafricana, Mali e Yemen sono oggi seguiti con missioni integrate e meccanismi di early warning. Alcune iniziative sul disarmo e sulla formazione diplomatica promosse dal G7 permangono, nonostante le difficoltà economiche che portano i singoli stati sovrani a fare tagli (Regno Unito in primis).

Lo United Nations Office for Disarmament Affairs ha poi svolto, nel 2025, iniziative cruciali: formazione di esperti per individuare l’uso di armi chimiche e biologiche, workshop regionali per il contrasto alle armi biologiche, e supporto a negoziati sul controllo delle armi leggere. Si moltiplicano intanto gli studi sull’uso dell’intelligenza artificiale (IA) in ambito militare, evidenziando l’importanza di regolamentare sistemi d’arma autonomi. Questi sforzi migliorano anche la trasparenza difensiva, elemento fondamentale per la fiducia internazionale.

Una frontiera emergente è l’uso dell’IA per la prevenzione dei conflitti. Il software “North Star”, sviluppato da Anadyr Horizon e presentato nel giugno 2025, utilizza “gemelli digitali” dei leader mondiali per simularne reazioni politiche in scenari realistici, offrendo un supporto decisionale strategico per la diplomazia: una sorta di “peace-tech”!

Nonostante la faciloneria di un numero crescente di leader, e senza trascurare il ruolo che singole organizzazioni come ONG e reti cittadine possono svolgere, l’umanità non si può permettere di perdere fiducia nella diplomazia strutturata: è stata uno scudo nella Guerra Fredda, può salvarci oggi.

Alla prossima!

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