Prendiamo la parola “invasione”. Tre anni fa era stata usata dandole un significato ben preciso: il “cattivo dei cattivi” aveva “invaso” il “buono”; peggio, l’aveva fatto senza dichiarare la guerra, ma chiamando “operazione speciale” la guerra. I professori di “diritto internazionale” si presero la scena tv, spazzando via gli ultimi bolsi virologi, stressando lo slogan: “C’è un invasore e c’è un invaso”. Il problema comunicazionale per la Plebe era risolto.
Due anni fa, altro quadrante, altra crisi. Il “comunque cattivo” vide massacrati in una sola notte un migliaio di suoi bambini e donne incolpevoli. Ritenendosi invaso si vendicò a modo suo. E oggi? Il “comunque cattivo” non molla, colta una finestra di opportunità, fa assassinare l’intero vertice politico, militare e della scienza e si impossessa dei cieli di un paese sì canaglia, però membro dell’ONU. E pretende pure la certificazione che la parola “invasione” sia sostituita da “attacco preventivo”.
A questo punto, lo scenario inopinatamente cambia. Il Patriziato europeo lo toglie dal novero degli “invasori cattivi”. Hanno capito di aver trovato il leader giusto per fare il “lavoro sporco” che loro (i “buoni”) avrebbero voluto fare (eliminare i diavoli barbuti di nero vestiti) senza però averne gli attributi e le capacità. Solo l’ultimo arrivato, il premier tedesco, candidamente lo ammette: “L’ha fatto per noi!”.
Da studioso di uno dei tanti scenari possibili, con i quali spesso gioco, continuo ad osservare come evolve il XXI secolo: “Una nuova Yalta, dove i tre Imperi (Usa-Cina-Russia) si spartiscono il mondo”. Come? Blindando i rispettivi confini con una barriera (digitale, of course) eliminando così, e per sempre, le guerre locali e l’immigrazione selvaggia.
Come editore mi chiedo: per facilitare la vita ai lettori dei nostri giornali in coma, perché non usare metafore scanzonate e linguaggi polifonici?
Maurizio Bettini ha definito l’epoca attuale in Occidente come Età dello Sfizio, dando così una dimensione culturale ai miserabili prodotti morali e alimentari che da un secolo il Patriziato rifila alla Plebe attraverso gli scaffali infiniti dei loro discount di parole e di disvalori, in continua mutazione genetico-culturale.
Sfizio non è semplicemente un sentimento o una parola, sfizio è un arciparola, è un metasentimento, in lui si condensa ogni piacevole godibilità culturale.
Ad esempio, i romani antichi ci hanno insegnato che la rucola (loro la chiamavano eruca) è una pianta connessa allo sfizio, in quanto legata al mondo della sessualità maschile e femminile (c’era il mirto per l’amore in purezza, ma noi non lo pratichiamo più) essendo considerata un potente afrodisiaco. Quindi era, per diritto divino, la pianta del Patriziato. E per i poveracci della Plebe? Plinio il Vecchio suggerì la pianta che si oppone alla rucola, la lattuga. Essendo considerata an-afrodisiaca, “era cibo da impotenti e da cadaveri”, diceva il Vecchio. Al contempo, la lattuga, sosteneva Augusto Imperatore, “è una medicina per il fegato, non certo un piacere della psiche, come la rucola”.
E allora diamoci una mossa, eliminiamo tutte le parole-lattuga (destra, sinistra, fascismo, comunismo, progressismo, conservatorismo) che hanno finora connotato la Plebe e torniamo all’antico: che la Rucola sia il logo del Partito del Patriziato e la Lattuga sia il logo del Partito della Plebe.
Il 14 luglio del 2089, cioè fra 64 anni, ci sarà un appuntamento importante per la storia. Dobbiamo dircelo, dopo trecent’anni la Rivoluzione Francese giacobina-massonica-liberal-democratica in termini di libertà ha fallito. Basta osservare quelli al G7, banderuole in sedicesimo di un mondo che non c’è più.
È giusto che nel 2089 il Patriziato occidentale festeggi la ricorrenza, e tutto vada avanti come oggi, oppure sarebbe giusto che la Plebe dicesse: “Sorry, ora tocca a noi governare! O ci accordiamo oppure: “A noi il potere, a voi le tricoteuses!”
Alla Gen Z l’ardua decisione.
Prosit al colto pubblico e all’inclita guarnigione!