... deve essere identificato con uno scopo “grande” o “assoluto” ma, naturalisticamente, con il vivere stesso.
Tuttavia, rispetto a Inside-Out, ci sono anche caratteristiche originali: la vita non è identificata con il calcolo deterministico di umori e cognizioni. Al contrario, è una storia che fa capire che ogni uomo ha un’anima immortale e che essa non coincide con il cervello e i suoi meccanismi. Anche il piano divino o immortale è inteso non deterministicamente come il destino fissato per ciascuno e inesorabile, proprio di tante filosofie orientali, ma come una relazione educativa che sfugge a ogni calcolo (anzi, il calcolatore è il “cattivo”). Infine, sebbene si dica che la vita non deve avere scopi grandi, si intendono questi ultimi soprattutto come “fissazioni” di successo e fama. La vita emerge nella sua bellezza intrinseca, che riempie di stupore e fa pensare che lo scopo è essere felici. Che questo poi sia uno scopo “grande” o meno, ciascuno lo giudicherà.
Un film che vale la pena vedere e forse un po’ più positivo e aperto degli ultimi. Rimane un’inquietante prevalenza della psicologia soggettivistica come movente ultimo delle azioni umane: le nostre ansie, i nostri complessi, il nostro vissuto. È una mania novecentesca il considerare l’identità umana come l’insieme dei suoi complessi, superati o non superati. Qualche volta piacerebbe vedere anche il contrario: la psicologia che cambia in seguito alle azioni, la personalità che vive di un compito – come le maschere della tragedia greca o l’Enrico V di Kenneth Branagh – e non di sensi di colpa, un po’ più chanson de geste e un po’ meno Jung (citato, non a caso in Soul). Bisognerà attendere molto per vedere qualcosa del genere, ma intanto un piccolo passo verso il buonsenso lo abbiamo fatto.