In conferenza stampa, contrariamente al rito che vuole che nessuno dica mai niente dei tifosi, a meno che non si tratti dell’esecrato razzismo, Gasperini è sbottato dicendo che non è affatto un piacere sentir dire per 90’ che la propria madre esercitava l’antica professione dell’amore per denaro, che la madre anzi aveva fatto la guerra per permettere di vivere in una società dove uno potesse dire quello che voleva e che l’accusa poteva essere ritorta a quelli che vanno allo stadio per insultare in questo modo.
Gasperini ha detto una cosa normalissima ma fa riflettere. Perché è gravissimo l’insulto razzista mentre gli altri vanno bene? La gamma da accettare è curiosa: riguarda genitori (figlio di..), fedeltà coniugale (cornuto ecc.), qualità cerebrali (deficiente, testa di.. ecc.), qualità civiche (ladro ecc.), qualità fisiche (handicappato ecc., sì allo stadio si dice ancora così), altre qualità varie dei gruppi o dei singoli (gobbo di…). Il campionario di insulti è immenso e sinceramente sfugge perché si applichino due pesi e due misure: una per gli insulti razzisti e una per tutti gli altri insulti. O sono tutti gravi, come ha detto Gasperini, o sono tutti accettati. O lo stadio è un luogo safe dove l’insulto fa parte del gioco, della partecipazione dei tifosi all’agonismo – e allora si accetta che ogni insulto, anche quello razzista, sia privo di riferimento semantico cioè che le parole siano vuote per definizione –, oppure si prendono sul serio tutti gli insulti, anche quelli non razzisti – e allora si impediscono e sanzionano tutti. Non è difficile: o sono tutte parole vuote o sono tutte parole significative. Nel secondo caso, si interrompono le partite tanto per il colore della pelle di Balotelli quanto per la mamma di Gasperini.
È una decisione semplice, che riguarda il tipo di spettacolo che vogliamo dal calcio. Io penso che ci siano buone ragioni per entrambe le soluzioni, ma occorrerebbe evitare a tutti i costi la soluzione “due pesi e due misure”. Che ovviamente è quella che stiamo utilizzando.