La situazione culturale italiana è senz’altro cambiata da allora, e per fortuna, ma rimane comunque difficile trovare pensatori effettivamente e intelligentemente liberali – liberali nature direbbe l’editore Riccardo Ruggeri. Eppure a Padova, il giovane professore Francesco Berti mi sembra portare avanti un pensiero liberale. Tutti gli anni inserisce nel proprio corso lo studio del testo Tutto scorre, di Vasilij Grossman (1905-1964).
Il grande autore russo era un ebreo non praticante, un ateo non ideologico e un cristiano inconsapevole. Aveva scoperto la sua radice ebraica sepolta dalla cultura rivoluzionaria in cui era cresciuta solo quando sua mamma era stata uccisa dai nazisti che avevano invaso l’Ucraina. Era rimasto formalmente ateo ma non aveva paura di pensare all’immortalità dell’anima e della vita. Non gli piaceva l’aspetto dottrinale del cristianesimo ma aveva enorme stima per quella passione per l’avvenimento della vita e della carità improvvisa che anima il cristianesimo in tutte le sue versioni.
Francesco Berti assomiglia un po’ al suo autore preferito: una gioventù a sinistra, una conversione culturale all’ebraismo e al cristianesimo dentro un frame liberale. Come in Grossman, l’ideale di Berti non è dunque un conservatorismo cieco o un liberalismo ideologico: liberalismo non vuol dire solitudine ma capacità di associazione, non significa multiculturalismo ma apertura a una società multietnica, non è per la concessione di ogni diritto perché ogni diritto, eccetto i pochi fondamentali, limita la libertà.
Il liberale vero, come Grossman avrebbe voluto essere se fosse stato libero di professarlo, è per la persona ed è contro lo Stato. Il capolavoro di Grossman si intitola infatti Vita e destino. È un’opposizione: la vita è quella delle singole persone – sempre varia e mai uguale l’una all’altra – mentre il destino, nel senso di fato, è quello dell’uomo creato dallo Stato. L’incipit di Vita e destino dice che non ci sono due isbe uguali in tutta la Russia, come non ci sono due rose canine uguali in tutta la natura, mentre le baracche dei lager di destra e di sinistra sono tutte uguali. In Tutto scorre, Grossman rimpiange la breve parentesi moderata del governo provvisorio del 1917, l’attimo in cui i russi si erano liberati dall’oppressione degli zar e non erano ancora piombati nell’oppressione bolscevica.
Anche Berti difende una prospettiva di questo genere, che anche nell’Italia dei fascisti e dei comunisti, dei cattolici e dei massoni, non ha mai avuto tanto spazio. Tutti hanno sempre parlato di libertà, ma raramente l’hanno difesa nella sua radice ontologica e nella sua conseguenza politica di anti-statalismo radicale. Si può non essere d’accordo, ma è difficile non provare stima per la battaglia culturale del prof. Berti e per la commozione con cui la parola libertà risuona nelle aule dove aveva insegnato Toni Negri.