Pensieri e pensatori in libertà


La verità negata

“Che cosa desidera l’anima più della verità?” si chiedeva S. Agostino. La risposta è “nulla” secondo il grande filosofo. Solo nella verità sembra acquietarsi la ricerca. In un interessante saggio intitolato Per la verità (2007) di alcuni anni fa Diego Marconi, capostipite della filosofia analitica in Italia e non proprio consentaneo con Agostino su altre tesi, spiegava bene: “Dalle chiavi di casa alla terapia efficace del carcinoma ovarico, si cerca per trovare. 

Se davvero si pensasse che non c’è nulla da trovare, o che è impossibile trovarlo, si smetterebbe di cercare (e infatti non si cerca più di quadrare il cerchio o di realizzare il moto perpetuo). La nobilitazione della ricerca rispetto al suo eventuale risultato è una razionalizzazione di quella che si considera (a torto o a ragione: secondo me, a torto) l’estrema povertà dei risultati conseguiti, ad esempio, in filosofia rispetto agli sforzi profusi: un tentativo di salvare il salvabile, pregiando il viaggio più della sua meta, a cui non si riesce ad arrivare e che forse non esiste. Ma è una razionalizzazione controproducente, perché fa di un’impresa forse vana un’impresa sicuramente sciocca”.

Così, il film La verità negata del regista Mick Jackson (2016) racconta la storia della battaglia legale che terminò con la condanna del negazionista dell’Olocausto David Irving. Il film è interessante perché sottolinea che la libertà di parola non può mai essere slegata del tutto dalla verità. Ma quale verità? Il film sceglie una versione riduttivista: è vero ciò che corrisponde a ciò che è avvenuto, nei termini di ciò che è possibile accertare da un punto di vista fattuale, se possibile, persino metrico-decimale. Battendosi anche contro la propria cliente che vorrebbe accusare di immoralità chi nega l’Olocausto, gli avvocati del film ottengono una condanna misurando frase per frase, parola per parola, quanto detto nei libri dell’accusato. Senza moralismi e senza sentimentalismi. Ma anche senza sentimenti. E soprattutto con una concezione di verità troppo stretta. Ci sono infatti cose vere che non si possono dimostrare: per esempio, è vero che la sedia su cui mi trovo esiste anche se non so dimostrare come si ritrovi nell’essere, e il bene che voglio a persone care è vero anche se non posso dimostrarlo. Ma anche nelle verità storiche la base fattuale è solo un appoggio della verità, una condizione necessaria ma non sufficiente per stabilire che cosa è vero. Che l’Olocausto o l’Holodomor ci siano stati non è ancora la verità, che coinvolge il significato di quegli eventi e la discussione sul significato, che inevitabilmente richiede dialoghi e interpretazioni, non risolvibili in un’aula di tribunale.

Così il film La verità negata diventa rappresentativo di quanto avvenuto nella concezione comune negli ultimi venti anni. Si è passati dall’idea post-moderna che non ci fosse alcuna verità e tutto andasse bene (quella che nel film viene proposta da Irving) alla contemporanea visione che la verità deve essere misurata e imposta (quella degli avvocati). Non a caso, l’anno successivo al film in questione il New York Times proponeva una campagna pubblicitaria dal titolo “The truth is hard”, la verità è dura. Come un bastone? Viene da chiederselo.

La verità che mette i cuori in pace, e per cui siamo fatti secondo Agostino e Marconi, non può essere né il “tutto va bene” del nichilismo della fine del secolo scorso né l’iper-realismo neo-positivista attuale, con contorno di punizioni. La verità richiede affetto e partecipazione, rispetto dei fatti e interpretazione, studio e dialogo, analisi e sintesi. Soprattutto, richiede il desiderio di conoscerla. Ed è questo desiderio di conoscere e imparare la verità che, secondo il logico americano Charles S. Peirce, è la prima e più importante regola della logica e della scienza. Sembra un desiderio scontato ma non lo è mai, né nei film né nella vita.


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