È molto di più di un’attitudine romantica, è proprio un contatto profondo con l’universo visibile, e con la distanza incommensurabile da altri mondi.
Un contatto che nella storia dell’arte ha avuto infinite declinazioni, anche se in primis mi vengono in mente i violenti cieli stellati, ad esempio “Notte stellata” (1889) di Vincent Van Gogh, dove il buio è acceso dai bagliori luminosi delle stelle e della luna, oppure la “Starry night” (1893) di Edward Munch, in cui il cielo diventa un unico soggetto, trapuntato di luci soffuse. Ma, se ci pensiamo, i più bei cieli stellati risalgono all’Alto Medioevo, anche se il primo eccezionale esempio (425 d.C.) risale ad ancora prima, ed è il Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna, la cui piccola cupola in mosaico di tessere blu e oro è letteralmente un’apertura verso lo spazio del cosmo. E che bellezza il cielo stellato in mosaico nella Basilica di San Marco a Venezia, del 1220, e il magnifico Giotto, alla Cappella degli Scrovegni a Padova...
Per ritornare al Novecento, ripenso a un incredibile piccolo quadro di Renè Magritte, del 1929, dal titolo “Uso della parola, desiderio”, in cui si vede un paesaggio notturno tradizionale e un cielo dalle cui stelle appare debolmente la scritta “DESIR”, come a voler fare esplodere in modo radicale la convenzionalità del linguaggio attraverso la pittura. La stessa sottile ironia che si avverte nell’opera di Mario Schifano “Notte per terra”, del 1984, nel quale poche stelle abitano un fondo blu, che stavolta non è più una tela ma proprio un tappeto, e sembra un dettaglio della bandiera americana. Non è da meno “Il famoso ordine della notte” ( 1997) di Anselm Kiefer, nel quale l’artista si ritrae come figura solitaria distesa su un terreno arido, sotto l’immensa coltre di stelle. Qui l’uomo ritorna a essere tutt’uno con l’universo, il cielo stellato non rappresenta un qualcosa di esterno rispetto al soggetto: si inarca, per così dire, nell’interiorità della ragione.