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I cattolici in politica? Un altro punto di vista

Come a ogni elezione, anche stavolta è sorto un piccolo ma animato dibattito sul voto cattolico. Il dibattito è dovuto al trovarsi in un Paese che ha avuto un partito unico dei cattolici per cinquant’anni, che ospita la sede internazionale del cattolicesimo, che continua ad avere un numero enorme di battezzati, nonostante ogni considerazione sulla inevitabile fine della religione in epoca secolarizzata.

Sono state dette cose molto belle e importanti che riassumerei così: i cattolici italiani sono bravissimi nel pre-politico, laddove gruppi, scuole, parrocchie, associazioni, singoli imprenditori, enti di formazione animano molti settori della società. La presenza politica in senso stretto invece langue, per mancanza di riferimenti: nessun partito è rappresentativo di tutta la galassia ideale e sociale che appartiene al cattolicesimo e nessun leader cattolico riesce a emergere come tale. Vari politici cercano di accreditarsi come cattolici, ma i cattolici stessi non li riconoscono.

Le analisi politiche sono tutte giuste, ma forse sulla mancanza di leader vale la pena fare qualche osservazione di psicologia e di comunicazione. L’epoca del partito cattolico era quella che Boccia-Artieri e Bentivegna (Voci della democrazia, 2021) chiamano “istituzionale” e che io chiamo “simbolica”, che va dalla fine della guerra mondiale alla fine degli anni ’70. C’erano i grandi partiti, i grandi giornali, i grandi canali televisivi di Stato e soprattutto i grandi discorsi che rappresentavano simbolicamente idee e ideologie. La comunicazione politica era altrettanto istituzionale e qui i cattolici sguazzavano a meraviglia, essendo di solito convinti, compiti e preparati.

La fine del cattolicesimo partitico ha coinciso anche con l’epoca della spettacolarizzazione televisiva, con i molti canali concorrenti, con i politici che cantano, cucinano, ballano e, soprattutto, litigano. È l’epoca che comincia negli anni ’80 e termina nel primo decennio del nuovo secolo. Sono finiti i partiti classici ed è cominciata l’era “indicale”, quella in cui conta il leader indicato sui manifesti, che deve essere sempre al centro dell’attenzione, fino a essere addirittura nel logo del partito. In quest’epoca scompaiono i cattolici dalla politica italiana. Di fatto, l’unico leader cattolico che emerge in tutta questa epoca è il cardinal Ruini, non a caso tuttora intervistato per trovare un punto di riferimento cattolico riconoscibile. Se si eccettua il cardinale, però, che non era un politico e che godeva la visibilità del ruolo di presidente della CEI, non ci sono leader cattolici. Come mai? A dire il vero, per una volta, la spiegazione psicologico-comunicativa fa onore ai cattolici italiani.

L’era della spettacolarizzazione o indicale richiede enorme accentramento dell’attenzione sul leader come personaggio. Per un cattolico è molto difficile pensare di essere il centro del mondo, di meritare attenzione universale e costante, di usare di sé stesso come strumento perenne di propaganda. Sono proprio l’educazione e l’antropologia cattoliche, basate sul senso del peccato originale, sulla limitatezza e la fallibilità dell’io, sulla forza della comunità che impediscono ai cattolici impegnati di avere un io ipertrofico, capace di fare di se stesso un continuo spettacolo, oggetto di critiche e applausi in ogni secondo. Nell’era della spettacolarizzazione non sono emersi leader cattolici perché era impossibile per ragioni psicologiche e comunicative.

Adesso siamo nell’era iconica, quella dei “pubblici” differenziati creati dalla rivoluzione digitale dal web 2.0 in avanti (2007). Certo, per ora, c’è ancora molta della spettacolarizzazione precedente ma l’atteggiamento è cambiato. Si sono moltiplicati i gruppi, i social, i podcast: i punti di riferimento informativo si sono frammentati. Non tutti guardano gli stessi spettacoli e le stesse fonti. Qui i cattolici hanno una nuova chance di far emergere un leader o dei leader. Infatti, in questo spezzettamento, alle volte tribale e ideologico, c’è anche la chance di recuperare l’idea di gruppo, di comunità, di ambito circolare che può essere più consono alla psicologia e alla formazione comunicativa dei cattolici. Se così fosse, dovremmo vedere di nuovo emergere leader locali, sebbene di territori ibridi, real-digitali. Staremo a vedere quali saranno le evoluzioni, ma di certo il passaggio a un’epoca comunicativa diversa non può che aiutare questo mondo così operoso a emergere.


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