Sono state dette cose molto belle e importanti che riassumerei così: i cattolici italiani sono bravissimi nel pre-politico, laddove gruppi, scuole, parrocchie, associazioni, singoli imprenditori, enti di formazione animano molti settori della società. La presenza politica in senso stretto invece langue, per mancanza di riferimenti: nessun partito è rappresentativo di tutta la galassia ideale e sociale che appartiene al cattolicesimo e nessun leader cattolico riesce a emergere come tale. Vari politici cercano di accreditarsi come cattolici, ma i cattolici stessi non li riconoscono.
Le analisi politiche sono tutte giuste, ma forse sulla mancanza di leader vale la pena fare qualche osservazione di psicologia e di comunicazione. L’epoca del partito cattolico era quella che Boccia-Artieri e Bentivegna (Voci della democrazia, 2021) chiamano “istituzionale” e che io chiamo “simbolica”, che va dalla fine della guerra mondiale alla fine degli anni ’70. C’erano i grandi partiti, i grandi giornali, i grandi canali televisivi di Stato e soprattutto i grandi discorsi che rappresentavano simbolicamente idee e ideologie. La comunicazione politica era altrettanto istituzionale e qui i cattolici sguazzavano a meraviglia, essendo di solito convinti, compiti e preparati.
La fine del cattolicesimo partitico ha coinciso anche con l’epoca della spettacolarizzazione televisiva, con i molti canali concorrenti, con i politici che cantano, cucinano, ballano e, soprattutto, litigano. È l’epoca che comincia negli anni ’80 e termina nel primo decennio del nuovo secolo. Sono finiti i partiti classici ed è cominciata l’era “indicale”, quella in cui conta il leader indicato sui manifesti, che deve essere sempre al centro dell’attenzione, fino a essere addirittura nel logo del partito. In quest’epoca scompaiono i cattolici dalla politica italiana. Di fatto, l’unico leader cattolico che emerge in tutta questa epoca è il cardinal Ruini, non a caso tuttora intervistato per trovare un punto di riferimento cattolico riconoscibile. Se si eccettua il cardinale, però, che non era un politico e che godeva la visibilità del ruolo di presidente della CEI, non ci sono leader cattolici. Come mai? A dire il vero, per una volta, la spiegazione psicologico-comunicativa fa onore ai cattolici italiani.
L’era della spettacolarizzazione o indicale richiede enorme accentramento dell’attenzione sul leader come personaggio. Per un cattolico è molto difficile pensare di essere il centro del mondo, di meritare attenzione universale e costante, di usare di sé stesso come strumento perenne di propaganda. Sono proprio l’educazione e l’antropologia cattoliche, basate sul senso del peccato originale, sulla limitatezza e la fallibilità dell’io, sulla forza della comunità che impediscono ai cattolici impegnati di avere un io ipertrofico, capace di fare di se stesso un continuo spettacolo, oggetto di critiche e applausi in ogni secondo. Nell’era della spettacolarizzazione non sono emersi leader cattolici perché era impossibile per ragioni psicologiche e comunicative.
Adesso siamo nell’era iconica, quella dei “pubblici” differenziati creati dalla rivoluzione digitale dal web 2.0 in avanti (2007). Certo, per ora, c’è ancora molta della spettacolarizzazione precedente ma l’atteggiamento è cambiato. Si sono moltiplicati i gruppi, i social, i podcast: i punti di riferimento informativo si sono frammentati. Non tutti guardano gli stessi spettacoli e le stesse fonti. Qui i cattolici hanno una nuova chance di far emergere un leader o dei leader. Infatti, in questo spezzettamento, alle volte tribale e ideologico, c’è anche la chance di recuperare l’idea di gruppo, di comunità, di ambito circolare che può essere più consono alla psicologia e alla formazione comunicativa dei cattolici. Se così fosse, dovremmo vedere di nuovo emergere leader locali, sebbene di territori ibridi, real-digitali. Staremo a vedere quali saranno le evoluzioni, ma di certo il passaggio a un’epoca comunicativa diversa non può che aiutare questo mondo così operoso a emergere.