... progetto raccontato anche dal "New York Times".
Tutto è dipeso dall’insofferenza del Maestro per quella che ritiene pessima musica di sottofondo diffusa in molti locali che via via ha abbandonato. Non volendo rinunciare a Kajitsu, il suo preferito, si era deciso a scrivere allo chef: “Il tuo cibo mi piace, rispetto te e amo il ristorante ma odio la musica. Chi l’ha scelta? Di chi è la decisione di ammassare quell’accozzaglia? Fallo fare a me...”, così raccontava Sakamoto al giornalista Ben Ratliff del NYT.
Incassato il prevedibile assenso, il musicista si ė lanciato in un lavoro meticoloso (chiamando ad affiancarlo il produttore newyorkese Ryu Takahashi) per studiare i dettagli del luogo, i colori, le luci, soprattutto l’atmosfera e il menu finché, dopo qualche tentativo, è nata la playlist definitiva: nessun pezzo suo ma 47 tracce di autori diversi, brani per pianoforte, suoni elettronici, musica d’ambiente, qualche nota jazz di Bill Evans, un duo violino e piano di Arvo Pärt. Per Sakamoto, compito della musica che accompagna i piatti è quello di farsi notare pur restando discreta, sullo sfondo. Il giornalista del NYT ha avuto parole di grande ammirazione per quest’operazione, asserendo che “al ristorante quello che vale per il cibo vale anche per la musica: abbastanza buono non è abbastanza”.
Il locale si trova a Manhattan ma nessuna nota è risuonata al suo interno in questi mesi di solo delivery; la playlist di Sakamoto però è disponibile su Spotify il che permette di gustare in casa le specialità del Kajitsu ricreandone un po’ l’atmosfera grazie alla musica. Una cenetta casalinga con sottofondo musicale “non improvvisato né frutto di un calcolo algoritmico, come capita nei ristoranti” (scrive Ratliff) ma scelto da un premio Oscar. Non male.