... sono stati annunciati i primi risultati sull'efficacia (senza che si sappia gran che su varie cose, tra cui la durata dell'immunità). Perché, disgraziate, hanno approvato remdesivir anche se OMS ha detto che non funziona.
Eh già, la seconda ondata pandemica attraversa l'emisfero boreale e che succede? Si alza la voce "remdesivir non serve". Perché lo ha ridetto OMS, che ha deciso di prendere per oro colato quello che è uscito dal suo trial fatto alla bell'e meglio e però ha scartato in quanto statisticamente non significativi i risultati del National Institute of Allergy and Infectious Diseases diretto da Anthony Fauci e il trial inglese RECOVERY, per quel che riguarda calo di mortalità.
Come tra 2014 e 2016 con l'epatite C il problema sembra essere in primis il prezzo. Allora c'erano pazienti che dall'Italia facevano viaggi della speranza in Nordafrica o India per pagarsi di tasca loro alcune centinaia di dollari di sofosbuvir generico (prodotto su licenza), perché lo stato italiano pur avendo contrattato il prezzo più basso in Occidente per l'unico ciclo di farmaco necessario (40.000 euro) lo riservava ai relativamente pochi gravi (su cui funzionava peggio), negandolo a loro.
Oggi un ciclo di remdesivir in Europa costa 2.100 euro, in Egitto 250 dollari (ancora la stessa politica per cui l'azienda prezza di più a chi può pagare di più e per i Paesi a reddito medio-basso licenzia il prodotto a genericisti). Quindi la storia della "scarsità globale" è un po' tirata per i capelli, oggi.
Da noi con remdesivir si oscilla, nella grande comunicazione, tra "non funziona", "non è disponibile","costa troppo" e "costa troppo per funzionare così poco". Poi ci sono i vari "approvato su ordine di Trump", che in teoria dovrebbero essere accolti con una risata. Ma solo in teoria, purtroppo.
Il fatto è che lo si sta usando, remdesivir: negli USA l'amministrazione federale ha avuto tre milioni di dosi, e l'Europa dopo mesi di tentennamenti ha alla fine firmato per la stessa fornitura.
Ora la raccomandazione OMS ha dato la stura anche da noi a pronunciamenti politici, magari travestiti da pareri scientifici: in prima linea la scorsa settimana Silvio Garattini, prima con una lettera a Quotidiano Sanità che per modalità e stile ricorda da vicino i campioni dell'antivaccinismo professionale, tipo Robert Kennedy Jr: Bigpharma corruttrice, i danni da farmaco, i due regolatori EMA e FDA collusi.
Poi Garattini assieme a Nicoletta Dentico firma un pezzo su L'Avvenire: l'Italia deve schierarsi per la sospensione dei brevetti su farmaci e vaccini presentata in sede WTO da India e Sudafrica. E qua la storia è più complessa. Le iniziative per l'equo accesso a farmaci e vaccini sulla carta non possono sbagliare: basta scriverlo e per magia il tutto profuma di santità.
Ma lasciamo un attimo il quadro internazionale della pandemia, su cui tanto si insiste, per leggere meglio le implicazioni locali: parrebbe che si miri ai paesi a medio-basso reddito per colpire in quelli occidentali.
Infatti quando si arriva a parlare di prezzi si parla dei prezzi in Occidente e non di quelli in India (che abbiamo visto sono ben diversi). E' uno schema già visto ai tempi della cura per l'epatite C: Medici senza frontiere, per citare l'area a cui Dentico appartiene, condusse una battaglia apparentemente surreale contro il brevetto europeo su Sovaldi, la costosa cura per l'epatite. Per garantire l'accesso ai cittadini europei, dicevano. Ma i problemi di accesso esistevano perché gli Stati non erano disposti a pagare: era una battaglia contro la spesa farmaceutica pubblica. Era una battaglia deflazionista.
Che poi è sempre stata la battaglia di un curioso anticapitalismo settoriale, limitato al settore farmaceutico. E' un tema che da sempre ha il sapore di "sinistra", recentemente calvacato in USA da Ocasio-Cortez e Sanders, e che finisce per avere i toni di un radicato anti-industrialismo: mai, mai quest'area ha presentato istanze di nazionalizzazione dell'industria farmaceutica, storico cavallo di battaglia del PCI.
I farmaci vengono sviluppati dall'industria, non dall'accademia, dalla ricerca pubblica o dalle ONG. In OMS si sa benissimo che "i prezzi troppo bassi spingono i produttori di alta qualità fuori dal mercato", ma nondimeno l'organizzazione è diventata un punto di riferimento del deflazionismo farmaceutico, dove le istanze politiche di taglio della spesa sanitaria si incrociano con le posizioni di questo peculiare anti-capitalismo: farmaci gratis, abbasso l'industria. Come dire: uova gratis per tutti, abbasso le galline.