Eppure nel fondo dell’animo conserviamo questo gusto verso il non-detto, tanto ci piace che ne raccontiamo presso libri, musiche, poesie. Degli animali siamo fra quelli più fortunati, disponendo di capacità linguistiche fondamentali alla comunicazione verbale: non dobbiamo praticare la danza delle api, scambiare segnali feromonici come formiche e nemmeno servirci dei piumaggi colorati. L’evoluzione ha regalato la parola, ma nel corso delle nostre vicende storiche abbiamo preferito ridurne il valore, ritrovandoci a dialogare per segnali sociali, «balletti» dell’agire che nascondono un’ambiguità ideale alla genesi d’insanabili incomprensioni.
Una possibile risposta arriva dal mondo della psicologia, impersonato per l’occasione dal professor Roberto Pani, docente presso l’ateneo felsineo, di cui recupero alcune riflessioni. «Il segreto è un indispensabile strumento per l’autodeterminazione dei singoli, poiché costruisce uno spazio privato noto unicamente ai suoi proprietari. Inoltre quest’ultimo permette il rafforzarsi dei legami interpersonali gettando le basi delle relazioni sociali, ricalcando un’atavica prospettiva tribale insita nella natura umana». In sintesi, il non-detto è infido ma pare generare rapporti di fiducia indispensabili alla vita in società, l’ambiguità della comunicazione si rivela collante fondamentale nella costruzione del rapporto col prossimo. «I segreti sono come dei fili trasparenti che ci legano agli altri». Prendo a prestito le parole affidate a Chiara, protagonista della serie televisiva «Baby», racconto di realtà circa la prostituzione minorile, interpolato dalle mani sapienti del regista Andrea de Sica. Una dimostrazione filmica che sintetizza l’importanza delle reticenze, per quanto odiose e malevole siano, pur offrendoci il giusto interrogativo morale riguardo i limiti delle stesse.