Un baldanzoso spirito giovanile e virtualmente eroico risponderebbe unicamente in senso affermativo; eppure, cercando nel mio piccolo bagaglio culturale, non mi sento altrettanto sicuro. Sia chiaro, proibire a chicchessia il suicidio sarebbe inutile: come potrebbe la legge punire qualcuno che non c’è più? Il diritto chiarisce come nemmeno il tentato suicidio sia suscettibile di castigo, in quanto quest’ultimo sarebbe inefficace come mezzo di intimidazione e piuttosto rafforzerebbe il proposito stesso. Tuttavia, per quanto non ci sia una pena effettiva, la morale tradizionale considera negativamente queste azioni. Si tratta di un retaggio culturale o di una fattuale illiceità del togliersi la vita?
Per affrontare adeguatamente simile dilemma, ho pensato opportuno fornire alcuni spunti di riflessione, senza influire con un giudizio personale. Il primo riferimento, intuibile già dalla concezione amletica del quesito, altro non può essere che il celeberrimo monologo del terzo atto della tragedia di Shakespeare: il giovane Amleto rinuncia al suicidio perché non sa “in quel sonno di morte quali sogni possano venire, dopo che ci siamo cavati di dosso questo groviglio mortale”. D’altronde, seguendo questa prospettiva tipicamente cristiana, lo stesso Sant’Agostino dice: “La morte non è niente. Sono solamente passato dall'altra parte: è come fossi nascosto nella stanza accanto. Io sono sempre io e tu sei sempre tu.” La cultura occidentale “dopo Cristo” condanna quindi qualsiasi comportamento lesivo della nostra persona, determinando un punto eticamente sensibile nel dialogo fra diritto e morale.
Tale concezione di “paternalismo normativo” fu messa in discussione da Feinberg nel suo testo “sui limiti morali del diritto criminale”. Il filosofo, esponente del liberalismo contemporaneo, si propose di applicare i principi fondanti dell’Illuminismo alla sfera del Diritto. Risultato di questi studi, una rivalutazione della libertà di autodeterminazione del singolo, tale da giustificare il suicidio, sia quando attuato in solitaria, tanto quando assistito. A sostegno di una tesi tanto rivoluzionaria, la credenza che nella legge non sia in gioco la moralità tout court, ma specificatamente la morale della coercizione.
Come premesso, non esprimerò la mia valutazione su una scelta tanto personale, ma mi affiderò alle parole di Amleto: “la coscienza ci rende tutti codardi, e così il colore naturale della risolutezza è reso malsano dalla pallida cera del pensiero.”