Così, Lilli ed io abbiamo festeggiato, alcuni giorni fa, i nostri 85 e 88 anni, con un piatto unico, polenta e stoccafisso alla ligure. E, per qualche ora, siamo tornati giovani.
Ora piove, le gocce sono pesanti, non c’è vento, presto arriverà la neve, il freddo si farà pungente, il mare livido. Di contro, ci si augura che la guerra ucraina, e tutte le altre guerre dimenticate, si fermino, i soldati stiano nelle loro trincee, i generali nei loro bunker, evitando di dare osceni ordini di morte. Almeno a Natale smettetela di uccidere, riprendete fiato. Spero che Stati Uniti e Cina intervengano, non per imporre la pace, miraggio impossibile, ma almeno una tregua.
Ovvio che per Natale le persone perbene sognino il ripetersi di ciò che avvenne nel Natale del 1914, quando fantaccini tedeschi e inglesi, stufi di ammazzarsi (per cosa?), uscirono dalle rispettive trincee, si scambiarono gli auguri, fumarono e cantarono insieme, alla faccia dei loschi generali e politici delle due parti. Fu uno dei momenti più belli della storia umana, per questo tenuto nascosto dalle élite guerrafondaie. Che bello sarebbe se le Plebi nostrane (contadini, operai, camionisti, poliziotti, militari), e i pochi perbene delle élite, dal giorno del Natale dei cristiani a quello degli ortodossi, si chiudessero in casa, con la propria famiglia. Uno sciopero dell’ascolto e del silenzio, per fuggire dalle bugie che ci propinano attraverso i loro media. Che bello, una dozzina di giorni in un rumoroso silenzio gandhiano!
Ci dicono che le scorte di gas e di petrolio dovrebbero essere sufficienti per arrivare a Pasqua. Bene! Sappiamo però che nel frattempo saremo diventati ancora più poveri. Difficile che il nostro conto economico, e relativo stato patrimoniale, sopravviva a queste batoste. Purtroppo il modello politico, economico, culturale che l’Occidente ci ha imposto, non è stato concepito per questo. Anzi, la gestione della Pandemia e della Guerra da parte delle ignobili élite ci ha confermato il fallimento del CEO capitalism e dei suoi leader. Non solo hanno bloccato l’ascensore sociale al piano terra, ma hanno pure tolto l’impolverato cartello “In manutenzione”, sottraendo ai più ottimisti di noi (sono tra quelli) la speranza di un cambiamento.
Sempre più insopportabili i loro maggiordomi della stampa, delle TV, dei Social, degli Influencer di regime, che ottusamente rifiutano “l’ascolto” della Plebe. Nel Medioevo, i Re più illuminati si travestivano da mendicanti, e nelle notti buie, frequentavano le taverne più lerce, per comprendere i pensieri e i bisogni della Plebe. Non perché fossero buoni, ma perché avevano capito che “l’ascolto” permetteva loro di rimanere al potere.
Al crescere delle tensioni, delle rivendicazioni, dei cambiamenti di fatto, ci stiamo invece chiudendo sempre più in noi stessi. Stiamo cadendo, come babbei, nella trappola della cultura del “reddito di cittadinanza”, dove il modello in essere, prima crea gli “sfridi umani”, poi se ne libera costringendoli sul “divano di cittadinanza”.
Apro una parentesi. Non dimentichiamo mai che i primi a parlare di “reddito di cittadinanza” furono, tre lustri fa, gli osceni Bill Gates e Mark Zuckenberg: avevano intuito come sarebbe finita. Furono geniali a concepire un reddito per i “nuovi poveri” da loro creati, facendoli però mantenere dallo Stato, cioè da quelli appena meno poveri. Nel frattempo, loro diventavano mostruosamente ricchi. Al punto che, vergognandosene (sic!), si spacciarono per benefattori. In realtà non era beneficenza, ma un modo per non pagare le tasse, mentre i loro megafoni della comunicazione ci facevano credere che l’evasione fiscale fosse, non la loro, così ben strutturata (Olanda, Irlanda, Delaware, Caraibi), ma i quattro spicci degli scontrini degli autonomi. Chiusa parentesi.
Che fare? Dal 25 dicembre al 7 gennaio mi considero in sciopero, in casa, per solidarietà con ultimi, penultimi, terzultimi.