Quella dipinta da Jean Anouilh (Bordeaux, 1910- Losanna, 1987 - cfr. nota 2) è una “piccola Antigone”, una sognatrice insicura. A differenza di quanto accade nella lettura data da Sofocle, ora Antigone è l’ombra di Ismene, un’Ismene seducente e altamente femminile, oggetto dei corteggiamenti del fidanzato della sorella, Emone. Antigone è un’eroina tenuta in disparte, conscia della propria scarsa avvenenza.
“Antigone è quella piccola, magra che è seduta là in fondo, e che non dice niente. Guarda dritto davanti a sé. Pensa. Pensa che tra poco sarà Antigone, che sorgerà improvvisamente dalla ragazza magra di carnagione scura, chiusa, che nessuno prendeva sul serio in famiglia e si ergerà sola in faccia al mondo, sola in faccia a Creonte, suo zio, che è il re. Pensa che morirà, che è giovane, e che anche a lei sarebbe piaciuto vivere. Ma non c’è niente da fare. Lei si chiama Antigone e sarà necessario che reciti la sua parte fino in fondo.” (nota 3)
Immersi in nel ritratto della Repubblica francese di Vichy, vissuta dall’autore, i personaggi del dramma sono immortalati nella propria mediocrità borghese e incastonati in un cieco ingranaggio che li sovrasta: Antigone accetta di morire per due personaggi ugualmente sordidi, entrambi nemici della patria e della famiglia, entrambi attentatori alla sicurezza di Tebe e alla vita del padre; Creonte, invece, vive schiacciato dal dover “guidare gli uomini”, un “gioco” troppo grande per lui. È in questo clima di statica accettazione della realtà, nella quale ognuno ricopre in silenzio un ruolo prestabilito, che la ribellione di Antigone crea sconvolgimento. Antigone ha coraggio di dire “no” all’arroganza del potere, ha il coraggio di ritagliarsi il proprio posto. Ma “Polinice era solo un pretesto”, commenterà Creonte stesso: alla pietà per il fratello morto si sovrappone, offuscandola, la brama di autoaffermazione. Solo un gesto glorioso, quale la morte, può elevare la piccola Antigone al di sopra di Ismene, al di sopra del mondo intero, solo la morte offre ad Antigone la possibilità di essere veramente Antigone.
“Allora, ecco, comincia. La piccola Antigone catturata. La piccola Antigone potrà essere sé stessa per la prima volta.”
I personaggi di Anouilh sono umani, prima di essere eroi tragici. Dietro alle immagini di Antigone e Ismene l’autore costruisce retroscena privati, frammenti di memoria, scorci sugli anni passati delle giovani e della loro famiglia. Il dramma, allora, acquista una corposità pluridimensionale, mescola mito e fantasia, si fa carico di sfaccettature private e sentimentali dal sapore più moderno e romanzato. Ed è della rievocazione del comune passato che, per esempio, Creonte si serve per tentare di salvare l’inamovibile nipote, la bambina alla quale lui stesso, ricorda, ha regalato la prima bambola. Creonte chiama alla memoria ricordi d’infanzia, si appella alla relazione tra la nipote ed Emone, svelandosi nel proprio essere zio, oltre che sovrano.
“La vita non è altro che la felicità”
Antigone, tuttavia, rifiuta la felicità terrena, una felicità che, da amante dell’assoluto, considera misera. Ed è proprio da Creonte che Antigone riceve gli appellativi di “orgoglio di Edipo” e “piccolo Edipo”: Antigone è l’ultimo rampollo di una famiglia fiera, una famiglia destinata a identificare la vita con la sofferenza.
Le ultime parole pronunciate prima della morte, quelle dolci parole rivolte a Emone, rivelano, tuttavia, la struggente confusione e l’umana fragilità della ragazza, di un’ Antigone che resta sempre “piccola”, dietro la maschera eroica.
“Non so più perché muoio. Perdonami”.
Nonostante le numerose novità della riscrittura di Anouilh, il tragico epilogo conserva l’antico sapore sofocleo: è il capitolare assurdo delle convinzioni umane, è l’autoannientamento all’insegna di una morte che non fa differenze. Una morte che rende tutti, in modo straziante, drammaticamente tranquilli.
“Ecco. Senza la piccola Antigone, è vero, sarebbero stati tutti molto tranquilli. Ma ora, è finita. Essi sono tutti tranquilli ugualmente. Quelli che dovevano morire sono morti. Quelli che credevano una cosa, e poi quelli che credevano il contrario — anche quelli che non credevano niente e che si sonò trovati nella storia senza capire niente. Ugualmente morti.”
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Note:
1) Treu M., Il teatro antico nel Novecento, Carocci, Roma 2009, p. 87.
2) La Table Ronde, Paris 1945.
3) Le traduzioni sono di Andrea Rodighiero. Marsilio Editori, Venezia 2000.