Sabato 20 aprile prossimo il libro potrà essere scaricato gratuitamente dai 19.000 abbonati di Zafferano.news e successivamente lo presenterò in una conferenza stampa in rete. In questo libro il “testo” è stato sostituito da una nuova “filiera editoriale” composta da “Copertina, Premessa, Indice, Conclusioni, Quarta di copertina”. In altre parole il “testo” è stato assorbito dalla nuova filiera, permettendone la lettura in una decina di minuti.
Come esempio esplicativo per questa prima assoluta di un “Libroindex”, ho scelto appunto l’Auto elettrica, disegnando uno scenario basato su una ipotetica modifica della data del 2035, visto che fin dall’approvazione di questa direttiva da parte della Commissione, presieduta da Ursula von der Leyen, si è alzato un venticello di insofferenza e di cambiamento, sia nel mondo tecnico-scientifico, sia regolatorio, sia politico. E lo scarso entusiasmo dei clienti verso l’elettrico ha chiuso il cerchio. Dopo le elezioni europee si aprirà di certo un dibattito che si preannuncia interessante, specie in termini di execution. Mi pare che questo Convegno voglia anticiparlo.
Nei primi anni Cinquanta entrai a Mirafiori come operario di terza categoria (modo elegante per dire manovale). Mia mamma, anche lei operaia Fiat, era molto orgogliosa di me, perché avevo superato il primo concorso fatto da Fiat per un’originale infornata di operai giovanissimi, però, come si diceva allora, acculturati. Era obbligatorio il diploma di perito meccanico per partecipare allo scritto del concorso, un tema di italiano (curioso in una città ove la maggioranza parlava il “piemontese”, che era anche la lingua ufficiale nelle officine Fiat). Se ricordo bene su 500 posti messi in gara, gli assunti furono circa 400. Una notazione a margine. Quando entrai nel Comitato Direttivo di Fiat Holding, presieduto da Gianni Agnelli, dove venivano prese tutte le decisioni strategiche, curioso, chiesi di conoscere come mi ero posizionato in quel lontano concorso, fondamentale per la mia vita. Fu una sorpresa.
Allora, la mamma, con le lacrime agli occhi, mi disse: “Sei passato in un colpo solo dai calzoni corti alla tuta blu Fiat*” (*in realtà era la tuta stinta del nonno, da lei ristrutturata, con largo uso di pence).
Settant’anni dopo ho fatto un giro in auto dell’intero perimetro di Mirafiori (oltre 10 km!). Che tristezza! Quando ci lavoravo, l’immenso corpaccione di Mirafiori era pieno di vita, all’uscita dai cancelli c’erano delle bancarelle dove si trovava di tutto, dal cibo all’abbigliamento (marketing ante litteram: un operaio neppure ventenne come me guadagnava molto più di un impiegato comunale, certo si lavorava a cottimo, ma avevamo un welfare sanitario di alto livello, ci sentivamo l’aristocrazia della classe operaia!). Era l’immediato dopoguerra, le case di noi operai erano piccole, fredde, alcune ancora diroccate dalle ultime bombe alleate, invece le officine di Mirafiori, dove passavamo le nostre giornate, erano luminose, calde, i bagni migliori di quelli di casa (il nostro era sul balcone), addirittura il pavimento era un parquet di legno, reso repellente agli olii industriali. La pulizia era un mantra: ogni sera pulivo il mio tornio con infinito amore, come mia mamma faceva al lavatoio pubblico con le lenzuola.
Ciò che ho visto, settant’anni dopo, nel mio imbarazzante giro ricordava invece il mondo di The Road di Cormac McCarthy. Drammatico il silenzio del grande corpaccione, spiaggiato. Leggo da miei appunti antichi, alcuni riportati su Una Storia Operaia 1934-2022, che nell’orrendo periodo del Sessantotto (il peggiore della mia vita) noi operai Fiat, specie noi giovani, diventammo improvvisamente vittime, vessati come fummo da studenti finto comunisti, in realtà alto borghesi, diventati poi notai e intellettuali di sinistra, of course. Questi sostenevano, a chiacchiere, di fare la rivoluzione in nome nostro, pur non nascondendo di considerarci quel “basket of deplorables” che la ghenga della Clinton avrebbe ripreso sessant’anni dopo riferendosi ai lavoratori della Rust Belt che non votavano correttamente. In realtà, costoro volevano divertirsi alle nostre spalle, identici, nel loro cinismo colto e nella loro miseria intellettuale, a quelli che oggi si definiscono “Ultima Generazione”, e sono pure filo Hamas.
Che tristezza: sessant’anni di lotte operaie buttate, per ritrovarsi in questo silenzio cimiteriale dell’enorme comprensorio spiaggiato.
Allora la produzione era di un milione di auto anno (1969), mentre nel 2019 si erano ridotte a ventunomila (sic!). Ora a Mirafiori si produce la Cinquecento elettrica che curiosamente i clienti italiani snobbano. In realtà, da circa tre lustri Mirafiori produce non auto ma cassaintegrati ed esodati.
Ho giurato che non tornerò mai più a Mirafiori. Stante l’età, giuramento facile da mantenere.