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Cosa significa “contesto” per un robot?

Quattro lettori del numero 51, in cui avevamo  esplorato le differenze nella capacità di apprendimento tra uomo e robot, chiedono un chiarimento sul concetto di “contesto”. Cosi come i Nematodi imparano a muoversi e procurarsi il cibo a seconda dell’ambiente in cui si trovano (e sono gli esseri viventi più sempliciotti), perché l’intelligenza artificiale non ci riesce? E perché è cosi importante?

Il contesto è fondamentale perché aiuta il nostro binomio mente-cervello a classificare, intuire e quindi dare il significato corretto a quanto abbiamo percepito attraverso i nostri sensi, e da questa correttezza discende la possibilità di rispondere bene. Quando ci buttiamo nel traffico di Piazza Venezia a Roma, è la nostra capacità di percepire la velocità degli altri veicoli, gli sguardi più o meno aggressivi degli altri guidatori, la scommessa sulle doti atletiche del pedone fuori dalle strisce, e soprattutto la potenza del nostro cervello di orchestrare queste informazioni insieme alle emozioni del momento, che ci consentono di passare indenni nel traffico. Se passate nella stessa piazza con un auto a guida autonoma, le possibilità di fare un incidente sono elevate e di sicuro ne uscite spaventati.

Quali sono quindi gli ingredienti che un domani consentiranno all’AI di capire il contesto in cui si trovano? Innanzitutto l’intelleggibilità, ovvero la capacità di capire cosa sta facendo, come e perché. Senza questo ingrediente non ci possiamo fidare di un robot, perchè sarebbe una scatola nera.  In secondo luogo deve sapere adattarsi: imparata una ricetta, il robot dovrebbe essere in grado di fare leggere variazioni sul tema e comporre o produrre qualcosa di altrettanto buono. Questa caratteristica è particolarmente sentita adesso, quando tanti AI sono impegnati nel comporre la ricetta che possa battere il Coronavirus, partendo dal calcolo combinatorio di tutte le altre molecole mai sperimentate sui virus.

Infine l’AI deve essere in grado di percepire l’insieme dei fattori in gioco, di orchestrare tutte le informazioni rilevanti, come ognuno di noi fa continuamente nel corso della giornata. Chiediamo a Valeria De Bernardi se sia immaginabile un robot come direttore d’orchestra?

Chi pensa che le enormi capacità di calcolo e di memoria dell’intelligenza artificiale possano aiutare a comprendere il contesto, deve riflettere sul fatto che ognuno di noi crescendo sviluppa circa 850 bias cognitive, ovvero automatismi che ci consentono di capire le cose al volo senza dover far ragionamenti o ricordare casi simili precedenti. Ed il modo in cui l’accoppiata mente-cervello sviluppa questi automatismi è funzione tanto delle informazioni, quanto delle emozioni che associamo alla loro comprensione: cosa impossibile per i robot. Fino a quando non mettiamo delle catecolamine in circolo nei computer, il nostro apprendimento e la nostra comprensione del contesto sono vincenti. Per chi volesse approfondire raccomando:

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0004370218305988

Buon weekend e buona lettura.

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Zafferano

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In questo numero hanno scritto:

Tommy Cappellini (Lugano): lavora nella “cultura”, soffre di acufene, ama la foresta russa
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro