IL Cameo


Quando arriverà un leader vaccino?

Quando arriverà un leader vaccino?

E’ la terza settimana da recluso causa "Virus". La reclusione volontaria era iniziata a due, mia moglie ed io, poi, due settimane fa, lei è caduta fratturandosi il femore. E’ stata portata all’Ospedale, operata.

Dopo una settimana il reparto di ortopedia, è stato trasferito nel vecchio ospedale, chiuso ai tempi delle “efficienze sanitarie” dei governi post 2011 (uno dei periodi più bui della storia repubblicana). Non hanno capito un’ovvietà: le ristrutturazioni si fanno licenziando i manager, le staff, i consulenti, cioè la fuffa, potenziando al contempo le forze medico-infermieristico.

Da giorni sono solo con i miei libri: per la terza volta nella vita rileggo Jules Michelet, Storia della Rivoluzione Francese, questa me la immagino a ruoli invertiti. Sono alimentato, stile Monaca di Monza, da amici cari: contadino, pescatore, ristoratore. Un privilegio assoluto. Finora sono riuscito, per quanto ancora non so, a evitare gli orrendi cibi globalizzati.

Ho deciso di portare mia moglie a casa appena i medici lo consentiranno, organizzando qua la sua riabilitazione. Avendo questo grande amore (senile) per la riflessione e la scrittura, la carcerazione fisica la vivo come un’opportunità per dedicarmi, in modo ancora più totale, a Zafferano, e al mondo che lui vuole rappresentare, seppur in punta di piedi. Le giornate si svolgono come si conviene a un carcere, ma mi ritengo un detenuto pieno di privilegi.

Mi sveglio alle quattro, poco dopo sento il rumore dei mezzi della pulizia delle strade. Mi dico: la rivolta non è ancora scoppiata. Resto a letto, con la boule dell’acqua calda dietro la schiena, come un personaggio di Balzac, per lenire il dolore (penso sia solo psicologico). Inizia il protocollo in cinque mosse della mia giornata: rifletto, scrivo, cancello, rifletto, scrivo. Nel mezzo, barba e doccia: massima prudenza, sono solo. "Guai cadere", diceva mio papà, ma intendeva ben altro. Quindi, colazione: pane burro e la marmellata dell’amico pinerolese C. Lettura dei giornali on line, quindi un tocco e fuga sui media internazionali. Per fortuna sono del mestiere: conosco in anticipo le loro polpette avvelenate. Sorrido.

Ho abbandonato i talk show politici, le loro compagnie di giro di "intellò" (dicono, con lo stesso sussiego, l’opposto di quello che dicevano tempo fa) e conduttori "involtini primavera style". Anche nel caso del "Virus" si sono auto squalificati per eccesso di furbizia e di politicamente corretto (per fortuna la rete ha registrato tutto, quando eccederanno nella loro petulanza basta tirare fuori le loro vecchie oscenità, tutte registrate).

Ho trovato l’antidoto a questo neofascismo televisivo: 1. la cucina di Giorgione (Orto e Cucina, canale 412) che, orrore, al posto del sifone usa il guanciale; 2 i primi Tenente Colombo (canale 168); 3. Yellowstone. Serie sfuggita al Censore? Qua c’è il ritorno all’epica della frontiera, ai suoi valori, il West si è fatto cittadino, i sentieri polverosi diventati strade, non quelle laccate della ZTL, ma quelle di Cormac McCarthy, dove "ogni giorno è il giorno del giudizio".

Un amico mi informa quando e dove c’è il professor Massimo Galli, allora corro a sintonizzarmi. Rivedo in lui il mitico professor Rapellini, della Mutua Fiat e della mia infanzia, che al termine della visita, accuratissima, emetteva la sentenza. Se sorrideva era fatta, avrebbe detto "tute bale", due giorni a letto poi "a travajé". Se si faceva serio, perdeva la sua costante nonchalance, diventava duro, crudo. Galli non fa comunicazione, fa prevenzione verbale. Si capisce che sa curare il corpo, ma pure l’anima, e lo sa comunicare, da sciur dutur milanese. Lui sì che può definirsi un "competente", perché oltre a sapere di medicina, conosce appunto l’animo umano. E’ inutile che mi contestino quando ironizzo sui "competenti": non mi riferisco certo alla "competenza" nella loro professione che non è in discussione, ma quando pontificano sulla politica o sull’economia o altro, che di scientifico hanno ben poco, come diceva quel tale, "solo sangue e merda sono".

Prima del "Virus", il giovedì sera andavamo a cena al Torrione di Vallecrosia. Ora il giovedì mi vesto di tutto punto, metto sul tavolo il piatto di cucina ligure e chiudo con un cioccolatino uno di Gobino. Sono solo, ma non triste, mangio pensando a mia moglie, ai nipotini, alle mie figlie-nuore, ai miei figli, agli amici più cari, come Ugo, che lotta contro il "Virus". A fine pranzo mi sento più umano, quindi un rivoluzionario che lotta per la libertà dei suoi nipoti (sogno spesso di svegliarmi e sapere che l’attuale Premier, e la sua corte di "scappati da casa", è stato deposto, senza spargimento di sangue, e sostituito da un "competente vero" scelto dal Parlamento e dal presidente Mattarella).

Il finale mi è noto, il coronavirus un giorno declinerà, gli aspetti economici torneranno centrali, la guerra fra i paesi liberi e quelli canaglia continuerà, malgrado entrambi i contendenti abbiano ferite profonde. Io so con chi stare. Non tradisco certo per un piatto di riso ribe.

 Tante le domande. Che sarà del nostro mondo immerso fino a ieri nel ridicolo (per me) Ceo capitalism? E come si presenterà l’Italia a settembre all’apertura del nuovo anno scolastico? Con le stesse impresentabili leadership di "scappati da casa" di oggi e di ieri? O con finalmente un nuovo "leader vaccino" che sani la frattura profonda politica, culturale, morale che ci divide? Quali business sopravviveranno?

Il futuro lo si scopre vivendo e io, malgrado l’età (vogliono "scremarmi"?) voglio viverla. E sono felice perché presto mia moglie tornerà a casa.

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Zafferano

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Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
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