Gestire un progetto di sviluppo software sparso per il mondo comporta una miriade di problemi che riducono di molto quello che a prima vista sembra un risparmio. Fusi orari diversi, lingue diverse, ignoranza crassa e supina del requisito e delle funzionalità che devono essere sviluppate, con tutta la cura che si può mettere nella documentazione e nelle comunicazioni, portano sempre a ritardi ed extra costi. Fino a ieri, specialmente la capacità di fare sviluppo in coppia, quando due programmatori lavorano contemporaneamente sulla stessa porzione di codice, non era fattibile da remoto.
Con l’introduzione dell’intelligenza artificiale, nomi famosi come Microsoft e GitHub hanno introdotto le loro soluzioni di copilota: un robot digitale che mi controlla in tempo reale, suggerisce come completare o correggere del codice, e si prende cura delle mansioni routinarie. Il mio schiavetto elettronico aiuta anche nella scelta del linguaggio migliore, ad esempio usare Rust o R al posto di Python a seconda del caso d’uso, e facilita il percorso di apprendimento delle varie tecnologie.
Scrivere codice significa formulare delle istruzioni e delle frasi in un file di testo che viene poi tradotto in codice macchina, e questo comporta che la maggior parte del software è copiato da altri programmi esistenti. Codex, il copilota di GitHub sviluppato con OpenAI, vede cosa scrivo e cerca su internet dieci volte al secondo, per poi darmi un suggerimento su come meglio proseguire. È ovvio che se sto sviluppando codice a livello amatoriale, per divertimento, il fatto che il robot scopiazzi in giro per internet non è un problema. Al contrario, se sono un’azienda che sviluppa codice vitale per il funzionamento del business, o per venderlo in licenza, non posso permettermi che il mio codice venga bellamente copiato in, o da, casa di altri.
Stanno quindi emergendo start-up come questa che si propongono di aiutare su misura la tua squadra, andando ad imparare come sviluppano i partecipanti e da lì facendo in modo di standardizzare il modo migliore di fare le cose, ma senza fughe su internet: solo sui database aziendali. Io come singolo programmatore posso ancora avere il mio schiavetto digitale, ma orchestrato insieme ai colleghi e loro robottini in modo sartoriale, specializzato sul tipo di applicazione che dobbiamo costruire, i nostri utenti, il nostro contesto.
La motivazione per investire su questa nuova tipologia di strumenti c’è tutta, specie se si tratta di preservare il proprio mestiere in un paese pagato meglio degli altri. Ad oggi i programmatori in carne ed ossa accettano tra il 30% e 55% dei suggerimenti del robot, e bisogna ancora capire le ragioni tanto delle scelte quanto dei rifiuti. Una cosa è sicura: per chi opera in questo campo l’aggiornamento professionale deve essere continuo, e per quanto possibile ad ampio spettro. Novità che emergano nella fintech o biotech oggi, domani potrebbero essere usate in altri settori, e viceversa. Se l’alternativa è finire a programmare in qualche villaggio remoto con le caprette, meglio stare sul pezzo.