Cacciatori di aquiloni


Eutanasia dell’agente assicurativo

Ringrazio Zafferano per avermi dato l’opportunità, in questa sua rubrica aperta a noi lettori, di raccontarvi la morte di una professione che fu nobile.

Questo vuole il Ceo capitalism, come l’ha battezzato Riccardo Ruggeri? Mettere al centro di tutto il “consumatore” a scapito del lavoro, dell’uomo? Uccidere il lavoro autonomo a favore del monopolio? Se lo vuole la maggioranza dei cittadini, eutanasia sia.

La stipula di ogni contratto assicurativo comporta il pagamento di un premio. Un premio? "Ho vinto qualche cosa?" recitava il popolare comico Francesco Paolantoni in "Mai dire gol".

Il termine deriva dalla parola "premio" utilizzata nell’Impero Romano dove, per assicurare il carico di una nave, si scommetteva un "premio" sull'effettivo arrivo o meno a destinazione della merce. In quel tempo gli affondamenti delle navi erano di una certa frequenza, come dimostrano i ritrovamenti di tanti tesori sommersi nelle acque del mediterraneo, e fissare un premio con uno scommettitore significava recuperare in parte la merce perduta.

Dopo il 1300 il contratto di assicurazione, cioè l'assumere un rischio in cambio di un "premio" si afferma, sempre in Italia, con lo sviluppo del traffico marittimo per garantire i mercanti dalle insidie del trasporto in mare e della pirateria.

Agli italiani, che hanno inventato le banche, va anche il merito dell'invenzione dei concetti assicurativi, divulgati poi nel mondo e che trovarono all'estero ambienti più adatti per il loro accoglimento e sviluppo.
In Inghilterra l'assicurazione marittima ebbe inizio per opera di banchieri lombardi, rifugiatisi a Londra tra il 1300 e il 1400. In Francia l'assicurazione sulla vita ebbe origine dall'italiano Lorenzo Tonti, segretario del cardinale Mazarino.

Banche e assicurazioni hanno in comune, oltre all’origine italiana, il fatto di generare economia, ma ben distinta e di differente visione e mestieri. Due mondi convergenti e paralleli, così rimasti fino ai giorni nostri, quando l’Europa ha deciso che le banche e le assicurazioni potevano essere la stessa cosa.
Oggi vediamo compagnie di assicurazioni che fanno banca (in verità, senza troppo successo) e molte banche, insieme a Poste, lanciate nel settore assicurativo come partner delle compagnie nell’affannosa ricerca di business, occupando gli spazi che erano degli agenti di assicurazione (così ad occhio con scarsi ritorni).
Le banche infatti non possono creare prodotti assicurativi ma solo intermediarne la vendita grazie ad una deroga di legge, tanto che l’Istituto di Vigilanza delle assicurazioni li denomina “intermediari a titolo accessorio”, mentre l’Europa ha deciso di dare un nuovo nome ai vecchi agenti di assicurazione, chiamandoli inizialmente “intermediari”, ed ora “distributori” di prodotti assicurativi.

Insomma una gran confusione nelle modalità, estrema chiarezza negli obiettivi: la morte della nostra attività di agenti assicurativi. In effetti, il giorno in cui saremo tutti “consumatori”, nell’accezione di cui parla Ruggeri, quindi tutti zombie, noi agenti non serviamo più. Infatti, perché mai uno zombie dovrebbe assicurarsi? Gli schiavi neri di Via col Vento si assicuravano? Certo no, erano i loro padroni ad assicurarli come bene. E questo, oggi, può farlo un algoritmo qualsiasi.

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Zafferano

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In questo numero hanno scritto:

Filippo Baggiani (Torino): commerciale settore moda, scrittore allo stato quantico
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica, scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Angelo Codevilla (California): professor emeritus, viticoltore, tifoso di Tex Willer
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale
Marinella Doriguzzi Bozzo (Torino): da manager di multinazionali allo scrivere per igiene mentale
Giuseppe Failla (Siracusa): executive MBA, appassionato di football americano
Leo Leoni (Frosinone): agente assicurativo
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Bianca e Roberto Sartori (Albenga): quattro ingegneri e una vigna