IL Cameo


Essere felici, comunque

Essere felici, comunque

Ebbene sì, lo confesso, parlando in termini politici e umani, sto rivalutando David Cameron. La Storia lo ha già squalificato per l’attacco a freddo (e contro tutte le regole del vivere civile, silente il meschino Onu) alla Libia di Mu’ammar Gheddafi per seguire i suoi compagni di merenda, Nicolas Sarkozy e Barack Obama.

Noi italiani non dimentichiamolo mai, per colpa loro (con aiutino del nostro Presidente e del Premier di allora) con questa guerra da operetta, hanno messo in ginocchio l’Italia.

A Cameron deve essere riconosciuta la scelta, liberale per eccellenza, di affidare al popolo il giudizio se doveva essere “Remain o Brexit”. Vinse Brexit, lui ovviamente si dimise, si ritirò a vita privata, scomparve per sempre dalla tv e dai giornali. I veri leader liberali fanno così. Chapeau! Purtroppo, questo nobile esempio non è stato seguito dai nostri ex premier, che pur avendo clamorosamente fallito nell’execution di governo dal 2011 in avanti, ce li ritroviamo ogni giorno o a spargere fiele o a autoincensarsi sui giornali e in tv. Insopportabili.

Durante il suo consolato Cameron incaricò (2010) l’ufficio nazionale di statistica (Ons) di raccogliere dati sulla felicità, convinto che il successo di un paese non si potesse misurare solo con i parametri della Ue, della Bce, del Fmi, ma pure con parametri più “caldi” dei gelidi Pil e Debito. Ovvero dalle oscene visite dei ragazzotti delle agenzie di rating. Ons ha prima definito cosa fosse la felicità: 1 Buona salute; 2 Un lavoro o una pensione; 3 Un rapporto affettivo stabile con un compagno o una compagna. Poi, come ovvio, altri accessori: età, reddito, luogo in cui vivi, casa di proprietà. Conclusione: le donne sono più felici degli uomini. Giusto così, perché loro sono le custodi della vita, quindi del futuro.

Il massimo della felicità lo si riscontra nei primi sedici anni di vita, perché siamo più liberi, ma non ancora responsabili, poi inizia la fase calante. Superati i 20 anni si riprende un po’ quota, ma poi verso i 30 inizia il periodo più lungo di infelicità: dura fin oltre i 50. Superata questa fase la situazione migliora verso i 70, poi ricomincia la discesa. Gli analisti si sono chiesti: perché sedicenni e settantenni sono più felici? La risposta è stata: non hanno responsabilità di guadagno, quindi sono meno stressati, meno inclini a crisi esistenziali, vivono il presente senza angustiarsi a pensare alla carriera o alla necessità di produrre reddito. Entrambi poi hanno alcuni comportamenti in comune: sono meno materialisti, i giovani per natura, gli anziani per esperienza, entrambi danno meno importanza ai quattrini, e sono più socievoli.

Personalmente mi ci ritrovo in pieno in questa fotografia, anzi posso dire che sono stato felice per tutta la vita, perché ho amato il “lavoro”, non il “consumo” fine a se stesso. Nasce così, dal profondo della mia natura, il disprezzo per quello che chiamo Ceo capitalism e sul quale spesso tedio i lettori. Me ne scuso.

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Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
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Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
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