Ai miei tempi ci si fermava al “dovere verso Dio, la Patria e la Famiglia”; con le maiuscole. Non sono evidentemente in grado di determinare la scadenza del quarto d’ora di Thunberg, ma nel mio mestiere questi sono segnali che vanno analizzati rapidamente e soprattutto vedere a che punto si inseriscono nel flusso.
Il flusso non è quello joyciano, ma quello della grande tecnocrazia politica che qui a Bruxelles sa riempire di contenuti gli spazi legislativi, anche inesplorati, che governano la grande Unione.
Thunberg arriva dopo che è già stato assodato in 11 stati membri della UE (Austria, Belgio, Cechia, Danimarca, Francia, Germania, Italia, Olanda Polonia, Slovacchia, Spagna) i potenziali votanti prenderebbero in seria considerazione nei programmi elettorali per le europee la protezione dell’ambiente, degli animali e della natura (82%), la trasformazione in senso sostenibile la nostra agricoltura (81%), la riduzione dell’inquinamento atmosferico (80%), la guerra al riscaldamento globale (77%) e la protezione/prevenzione di fenomeni metereologici estremi. Insomma, una Thunberg ben radicata, anche senza di lei, nei paesi trainanti dell’Unione.
In Italia, il “qualitativo” dell’inchiesta che trovate qui suggerisce anche politiche severe contro le industrie inquinanti imponendo loro di ripulire, rimettere le cose a posto e smettere di inquinare (86%), l’adozione massiccia di fonti rinnovabili di energia e riduzione delle tariffe dell’energia data la crescente povertà energetica (86%) e la produzione di alimentari in modo sano e sostenibile senza pesticidi, antibiotici e sofisticazioni (85%).
Mi occupo di energia da 18 anni, due terzi dei quali passati a Bruxelles. Quando metto insieme un sondaggio come quello appena citato, affidabile con il dovuto beneficio d’inventario, e una dichiarazione in una cena ristretta di un potentissimo ex funzionario nell’area ambientale della Commissione ancora influente su giudizi e meccanismi del climate-change management mi metto all’erta alla ricerca di novità.
Dice l’uomo che ancora sussurra di politica ambientale con una certa nonchalance: “Prima o poi si dovrà tassare il consumo di carne rossa e di maiale, con tutte le emissioni che comportano e l’acqua che costano...” Oppure: “Le importazioni di carni da paesi non comunitari che non hanno una seria politica verso la CO2 emessa è una sorta di carbon-leakage...”.
In due parole il carbon leakage è spostare produzioni in paesi dove le emissioni non vengono tassate e vendere il prodotto a prezzo concorrenziale nei paesi dove invece lo sono. Del resto, scriveva già, senza conoscere l’eurocrate a riposo, il nostro editore: bisognerà essere benestanti per mangiare una bistecca alta quattro dita... Cionondimeno, l’ipotesi in sé è affascinante e per chi fa il mestiere dell’Europa non è una ipotesi così bizzarra. Uno spazio legislativo inesistente che aspetta solo di essere riempito. E’ chiaro, nel gergo istituzionale, con le dovute proporzioni, la gradualità e la scalabilità che queste cose meritano... Anche perché la qualità del cibo e dei processi che riguardano la catena alimentare e le sue filiere produttive appare sul serio top-of-mind per quattro quinti degli interpellati per la ricerca citata, alla pari con l’inquinamento ambientale.
L’altro segnale rilevante che precede Thunberg indipendentemente dal fatto che possa essere fake, merchandising ecologico, prodotto sintetico o genuino è che comunque la Commissione Europea, nella primavera dello scorso anno aveva già posto le basi per una legislazione che può riservare sostanziali mutazioni negli investimenti delle aziende europee. E’ la proposta di un regolamento, a effetto immediato, che definisce un sistema di classificazione, armonizzato a livello europeo con cui identificare le attività finanziarie economicamente sostenibili, una tassonomia condivisa per gli investimenti sostenibili, un tassello del più ampio piano di azione per realizzare un sistema finanziario in linea con gli obiettivi climatici e lo sviluppo sostenibile.
In parole povere? Definire il tasso di sostenibilità degli investimenti per i quali le imprese concorrono ai finanziamenti europei per la ricerca e per la dimostrazione delle nuove tecnologie. E ai finanziamenti erogati dalla Banca Europea degli Investimenti. La BEI è il prestadenari ufficiale dell'Unione europea ed è il più grande finanziatore multilaterale al mondo oltre che il più grande provider di finanziamenti attinenti alle politiche di contenimento del cambiamento climatico.
Sulla riga dei saldi, quindi, o gli investimenti sono allineati con gli obiettivi climatici e di sostenibilità (non solo ambientale) europei o niente soldi. E se gli investimenti non avranno il bollino blu che arriverà in via automatica dalla tassonomia, anche i finanziatori privati, sempre più influenzati dall’esigenza di sostenibilità per attrarre fondi e risparmi socialmente e ambientalmente “responsabili” andranno altrove.
Tutto questo era già chiaro fra il 2003 e il 2005, quando con una mezza dozzina di persone ci ritrovammo a essere i pionieri della CSR, corporate social responsibility e introducemmo la sostenibilità nelle principali imprese italiane e queste ultime nei principali indici specializzati, il Dow Jones sustainability index e il FTSE4GOOD del Financial Times.
Thunberg era in fasce; e non c’era ancora twitter con il resto dell’odierno ambaradam. Dopodiché, anche mia figlia ha sfilato, un venerdì mattina, nel quartiere della sua scuola elementare, raccogliendo rifiuti sparsi e innaffiando l’acerba consapevolezza che preservare, non solo la natura e l’ambiente, ma la capacità di avere un’opinione rimane fondamentale.