IL Cameo


Se non diffondi il vero non fai giornalismo ma propaganda

Se non diffondi il vero non fai giornalismo ma propaganda

Horacio Verbitsky, giornalista e scrittore argentino al di sopra di ogni sospetto (al tempo del generale Jorge Videla era dalla parte giusta, una rarità nelle alte sfere politiche e religiose del paese) scriveva: “Giornalismo è diffondere ciò che qualcuno non vuole si sappia; il resto è propaganda”.

Riflessione impeccabile, mi è venuta in mente dopo che molti lettori di “zafferano.news” (abbonarsi è gratis) mi hanno chiesto spiegazioni sull’uso intensivo che faccio nei miei Camei del termine fake truth. Zafferano è nato con alcuni obiettivi alti, uno di questi di rifiutare comportamenti comunicativi basati sulle fake truth, come spesso avviene oggi.

In Italia, ci sono alcuni conduttori di talk show, certi prestigiosi giornalisti, persino politici di stazza, diversamente colorati, che campano di fake truth. Non me ne voglia Federico Fubini, celebre economista e vice direttore del Corriere della Sera, se prendo, a mò di riferimento culturale, una sua intervista video (TG TV2000.it). Un approccio impeccabile il suo, proprio per questo invito i lettori a guardarlo. E’ un video imperdibile (una chicca trovata in rete) per chi voglia studiare il momento politico-culturale che stiamo vivendo.

Osservate come è costruito il discorso, come la confessione è strutturata, come le domande dell’intervistatore si innestino perfettamente nella coda di rondine delle risposte. Ha tecnicamente esaltato e umanamente emozionato anche un apòta come me, perché in un paio di minuti lì c’è tutto, trovate la sofferenza autentica di un uomo perbene, ma al contempo il cinismo dell’intellettuale di sistema, la spregiudicatezza del giornalista di vertice, costretto, per dirla con Verbitsky, a far “propaganda”, nel momento stesso in cui rifiuta di diffondere la verità. In proposito, le sue giustificazioni sono tipiche del mondo che rappresenta: evitare le possibili strumentalizzazioni, l’ostracismo del sistema, il massacro sui social. Ormai le élite si sono disamorate della Rete, peggio, ne sono terrorizzate. E sbagliano, la Rete è la vita, è la libertà.

E poi il racconto continua, lui, innamorato dei numeri, quelli del caso Grecia li gira e li rigira ma non riesce a sistemarli, si trova di fronte a una specie di cubo di Rubik che a differenza dell’originale non si riesce mai a “chiudere”. In effetti, ci hanno tentato altri, tutti prestigiosi, compresi i leader del Fondo Monetario, i vertici di Bruxelles, i due paesi più birbanti (Germania e Francia) pronti ad affossare la Grecia pur di salvare la proprie banche e i loro business, militari e no, e ancora, prestigiose multinazionali della consulenza più rarefatta (con i nomi di loro partner all’epoca in qualche modo coinvolti che non si possono neppure pensare, altro che pronunciare) e ovviamente tutte le leadership della Grecia corrotta (se volete metteteci pure i barbieri che andavano in pensione a cinquant’anni). Ma c’è un numerino maledetto che non si riesce a giustificare, a metterlo in nessuna casella, a meno di nasconderlo sotto il tappeto, come hanno fatto tutti gli altri: 700.

Sì proprio loro, i 700 bimbi (da 0 a 12 mesi), numero “differenziale” di morti causa le modalità secondo le quali è stata gestita la crisi greca (dato certificato da Fubini stesso: il rospo che aleggiava è stato sputato). In questo passaggio Fubini si emoziona, si capisce che la sofferenza è autentica, a differenza di quella di due superburocrati come Christine Lagarde e Jean-Claude Juncker. Questi, tempo prima avevano confessato, sul caso Grecia, sì gli errori, ma solo perché i numeri non offrivano loro alternative: si erano comportati come quei birbanti che quando i carabinieri fanno loro vedere i video delle telecamere che li riprendono durante lo stupro, confessano, dicendo però che la vittima era consenziente. Poi è evidente che le due vecchie lenze lo hanno fatto per scaltrezza, il disprezzo che provavano (e provano) per i greci e per la Grecia emerge, è palese, le scuse sono finte, come succede spesso nel mondo del politicamente corretto di matrice anglosassone e nordeuropea.

Il caso in oggetto a livello della persona singola non ci deve interessare, ciascuno di noi ha diritto di rispondere alla propria coscienza, congegnando la confessione nel modo che ritiene più opportuno, ci mancherebbe, dico di più, almeno Fubini ci ha messo la faccia (Chapeau!). Ma è stato importante per farci comprendere cosa sono le fake truth, tipiche del Ceo capitalism dominante. Tutti avranno capito che sono una comunicazione elegante che sembra vera, invece spesso è falsa, perché incompleta, peggio, in casi limite come questo, il giornalista, e lo dice lui stesso, non diffonde ciò che ruolo e professionalità gli imporrebbe per dare un’informazione completa e veritiera, per non avvantaggiare l’avversario politico. L’amico Marco Cobianchi, giornalista di razza, ha avuto le mie stesse suggestioni, twittando: “sono senza parole”. Anch’io, sono senza parole, ma sono comunque contento della confessione. Grazie a lui i 700 bambini greci perduti ci hanno fatto commuovere, soprattutto riflettere per il futuro, com’era stato per il piccolo migrante Aylan al-Kurdy, morto su una spiaggia turca. Al solito, uno ha avuto una grande copertura mediatica, i 700 praticamente nulla. C’est la vie.

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In questo numero hanno scritto:

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Umberto Pietro Benini (Verona): salesiano, insegnante di diritto e di economia, ricercatore di verità
Tommy Cappellini (Lugano): lavora nella “cultura”, soffre di acufene, ama la foresta russa
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
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Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Roberto Zangrandi (Bruxelles): lobbista