Un segnale positivo, dopo tanti anni in cui gli artisti, ad eccezione di poche star, sono stati considerati un semplice ingranaggio del sistema dell’arte. Questo accadeva anche perché gli artisti stessi hanno voluto abdicare al loro ruolo, preferendogli la mondanità dei vernissage.
Sull'onda di questa riflessione, nel veder parlare la regina Elisabetta II alla nazione mi è venuto in mente "l’eremita di Holland Park", Lucien Freud, il grande artista naturalizzato inglese, nipote di Sigmund, e con lui il ritratto della sovrana che egli dipinse nel 2000, qualche anno prima di morire. La Regina posò per lui. Quella piccola tela fu giudicata allora una "lesa maestà".
Ricordo la grande mostra di Freud al Museo Correr di Venezia e soprattutto quell’opera: una corona che sembra un cappellino e quel volto turbato e un anche po’cupo, quasi una psicopatologia del quotidiano in forma di quadro. Un piccolo grande quadro, maestoso e terribile. "Voglio che la pittura sia carne" amava dire Freud e infatti i segni dell’esistenza sui corpi e sui volti raffigurati nei suoi quadri si soffermano sui particolari più impietosi e brutali e la sua pittura diventa spesso sensuale e tragica, come nel ritratto della Regina. Nel cercare la verità si diventa ruvidi, prima di tutto.