Sono state profuse molte parole sull’argomento, si è gridato allo scandalo. Io, se penso a Cattelan, penso a un artista colto e di buona finezza intellettuale.
Già nel lontano 1917 Marcel Duchamp presentando il primo dei suoi ready-made, l’orinatoio dal titolo Fontana, subì le stesse critiche per una provocazione ad oggi insuperata sul ruolo dell’arte e dell’artista. Cattelan è nel suo stesso solco: reinterpreta l’icona della famosa cover di Andy Warhol per i Velvet Undreground e riutilizza lo stesso tipo di nastro con cui appese il gallerista Massimo De Carlo in una delle sue prime mostre presso la galleria milanese. Comedian è un coup de théâtre.
Ricordo bene quando, vent’anni fa, vidi per la prima volta La nona ora: Cattelan aveva messo in scena in modo assolutamente realistico un Papa Giovanni Paolo II abbattuto da un meteorite. Quest’opera, tragica e intensa, pensando anche solo a Papa Francesco in una deserta piazza San Pietro, racchiude in sé molto dell’oggi, e pur con la grande ricchezza di riferimenti al Barocco mi sembra attualissima.
Cosa abbiamo perso in questi venti anni? La libertà di pensare con arditezza a un linguaggio più compiuto e universale, per inseguire la vanità del mondo.