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Donald e il Nobel per la pace

Geloso di Obama, che grazie a 29.000 bombe sganciate in medio-oriente prese il Nobel per la Pace, Trump sta cercando di vincere il suo fermando i conflitti in Palestina ed Ucraina.

Nel discorso da vincitore alla Knesset, Trump ha dato spettacolo, tessendo le lodi dei fidati collaboratori e tirando le orecchie a Bibi ed altri recalcitranti alla sua idea di pace forzata. Divertente il riferimento a Miriam Adelson, che ha donato più di $100 milioni per farlo eleggere Presidente l’anno scorso, arrivando ad un totale di $600 milioni se contiamo le somme versate dalla prima elezione. 

È seconda solo ad Elon Musk per fondi elargiti da una persona: nel suo caso specifico, sempre e solo a favore di Israele. Trump ha imbarazzato la sala quando ha chiesto se Adelson sia più fedele all’America o ad Israele, spiegando che buona parte delle energie che spende per il Paese mediorientale sono richieste dalla facoltosa lobbista. La signora ha un patrimonio di $60 miliardi, è una convinta sionista e cara amica di famiglia, visto che la figlia del Presidente s’è convertita al giudaismo per essere ancora più vicina al marito Jared Kushner, che fa tanti ricchi affari in quella zona del mondo.

Trump presenta come vittoria quella che nasce da una sua inversione ad U: ha capito che cacciare due milioni di palestinesi è quasi impossibile, e di conseguenza ha costretto Bibi a miti consigli. Nessuno vuole i rifugiati palestinesi: azzopperebbero l’economia di qualsiasi paese, aiutano il gruppo terrorista di Hamas, ritengono corretta la lotta armata contro Israele, e non sono nemmeno bianchi come gli ucraini. Il cambio di strategia e’ anche frutto dell’opinione pubblica americana, che ha cambiato idea sul conflitto. In America le immagini di due anni di stragi hanno invertito il supporto popolare: da un 40% di maggior favore per Israele, ad un 1% per i palestinesi. E’ la prima volta da quando si fa questo sondaggio: oggi gli Americani preferiscono, seppur marginalmente, i palestinesi.

Questa inversione nel sentir comune spaventa la comunità ebraica, in cui il 33% cita fenomeni di antisemitismo nei loro confronti, ed il 56% inizia a nascondere i segni distintivi che li facciano riconoscere in mezzo alla strada. Per fortuna nelle manifestazioni pro-Pal fin dall’inizio c’è il pienone di ebrei, specie ortodossi, per cui gli americani non fanno di tutta l’erba un fascio e si lamentano solo di Netanyahu e pochi altri responsabili della catastrofe palestinese. Tuttavia, in un paese strapieno di armi, la testa calda che tira il grilletto si trova sempre, e due impiegati dell’ambasciata israeliana a Washington son già stati uccisi a maggio, al grido di “Free Palestine”.

Teniamo conto che l’antisemitismo aveva già iniziato a crescere dal 1991, da allora l’FBI lo classifica come la motivazione religiosa più frequente per i crimini, ma è solo dal 7 ottobre che le cose hanno accelerato pericolosamente. L’anno scorso abbiamo registrato 9.000 incidenti antisemiti, il massimo di sempre e di gran lunga maggiore rispetto ai 1.500 britannici, 148 tedeschi e 106 francesi. Trump ha già promosso un ordine esecutivo a gennaio (qui) che mira a reprimere non solo gli insulti, ma qualsiasi critica ad Israele venga mossa nelle scuole, università o enti pubblici, ed ha rincarato la dose andando a perseguire il mondo accademico sulla scorta (infondata) che in alcuni campus gli studenti ebrei fossero in pericolo. Più di recente, mettendo le mani sull’algoritmo di TikTok, ha consentito alla lobby ebraica di fare propaganda anche sul social che finora era rimasto meno influenzato.

E’ evidente che oltre all’interesse per il Nobel della pace, al Presidente preme riprendere le fila di un opinione pubblica che considera i palestinesi alla stregua, se non un pelo meglio, degli israeliani. Ne va della sua paghetta, follow the money da Miriam e dalla sua lobby.

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Guido Saracco: già Rettore Politecnico di Torino, professore, divulgatore, ingegnere di laurea, umanista di adozione.