Meglio lasciar la maggior parte della produzione in quesi Paesi lontani che la sanno fare meglio, e se poi scopri che usano gli schiavi per restare competitivi, basta un PowerPoint sulla possibilità di fare ispezioni e la coscienza e’ a posto.
Ad ascoltare questi fenomeni, è sufficiente lasciare la nostra capacità di produrre nelle mani della Gig economy, ossia quei mille mestieri intermediati dalle piattaforme digitali, dal ragazzino che ci porta la spesa, alla signora che cuce vestiti, all’artigiano, e via dicendo. Questo settore dell’economia americana vale circa mille miliardi di dollari ed impiega quasi 100 milioni di residenti in USA. Qual è il piccolissimo dettaglio che questi esperti evitano di dirci? Che il salario medio di questo terzo della popolazione americana non arriva a trentamila dollari. Vi assicuro, con quella cifra o siete ancora in casa dei genitori che vi mantengono e potete spenderla ed investirla come volete, o se pensate di mantenervi in autonomia siete alla fame nera.
Il salario medio di tutti gli americani è il doppio, $59mila e spicci, e questa cifra viene dal 1% che ne prende $787mila, il 10% che guadagna $194mila, a scendere. L’idea di lasciare le produzioni più avanzate all’estero, perché da noi costerebbe troppo aumentare la paga da fame dei 100 milioni di disgraziati Gig , per chi è cresciuto con Don Camillo e Peppone grida vendetta tanto al cospetto di Dio quanto di Marx.
Adesso vi svelo un segreto sull’intelligenza artificiale: oltre alle ricerche sofisticate sulle neuroscienze di cui parlo spesso, oltre a chip, GPU e server dalle performance fantastiche, al di là della rapidità incredibile con cui progredisce il ranocchio elettronico, ci sono tantissimi schiavi. Non cuciono palloni, non grattano cobalto a mani nude in Congo, ma da anni insegnano a parlare, disegnare e calcolare all’intelligenza artificiale.
È stata Fei Fei Li, pioniera dell’intelligenza artificiale americana, a globalizzare la classificazione dei dati e delle immagini: passò dal pagare bene un centinaio di studenti della sua università a dare una miseria a decine di migliaia di lavoratori del terzo mondo vendemmiati con Mechanical Turk. Se passi da $15 all’ora ad uno studente, a $2 al giorno ad un ingegnere indiano, hai appena scalato la produttività a livello olimpico.
Oggi ci sono circa venti milioni di schiavetti classificatori dell’intelligenza artificiale nel mondo, riconosciuti dalle loro nazioni come sviluppatori software per i titoli di studio, anche se fanno il lavoro più umile che ci sia in questa industria. Sono bravi: ho visto il lavoro fatto da residenti in angoli del Pakistan. $3 al giorno per loro va bene, per noi no. Ed ora il nodo viene al pattine: il ranocchio elettronico sta finalmente mettendo sale in zucca, diventa indipendente nel raccogliere ed interpretare i dati correttamente. Non servono più i lavoretti (gig in inglese) degli studenti americani, e poco alla volta anche quello degli schiavetti digitali del terzo mondo verrà meno.
Dire che non ci servono le fabbriche perché investiamo in intelligenza artificiale è idiozia in purezza, per il semplice fatto che sono pochissimi i lavoratori in questo campo, e non è con loro che mandi avanti un Paese. E non solo sono pochissimi, ma stanno diminuendo ancora. Per quello che è il costo della vita e dei servizi in America oggi, solo il 10% della popolazione sta bene, ed in un modo o nell’altro un Presidente deve prendersi cura anche dell’altro 90%: se non si mettono le fabbriche, l’alternativa è grattare cobalto anche qui.