Certamente vi sono stati casi estremi, come l’estremo gesto di Van Gogh, quello di tagliarsi l’orecchio per la perdita dell’amico amato Gauguin, o per la parte della sua vita passata in manicomio (in un’epoca però in cui la malattia psichiatrica era percepita e affrontata in altro modo) o la vita disperata di Antonio Ligabue; mediamente però questo accostamento è molto più una vox populi che una realtà, e la maggior parte degli artisti non è affatto folle.
Avevo introdotto questo argomento per un’analisi della Biennale di Venezia del 2013, il Palazzo Enciclopedico, di Massimiliano Gioni, che ha segnato un vero cambiamento, dal punto di vista della percezione dell’idea dell’artista. Infatti l’intento era quello di sfumare, se non abolire, le differenze tra artista professionista e quello dilettante, e in definitiva decretare una rottura con l’estetica filosofica e la cultura critica.
Un progetto generale, un’enciclopedia appunto, che andava non per analisi, ma per sintesi, una lista in 158 articoli nella quale vi era una summa del mondo: articoli appartenenti al mondo dell’antropologia, dai disegni tantrici di autori anonimi a opere dei detenuti, dei pazzi, di carattere religioso e popolare, dalle bandiere vudù alle pitture medianiche, agli ex-voto. Il finale di partita è una forma di “artistizzazione” secondo Mario Perniola, di cui anche Baudrillard aveva precedentemente parlato: ovvero l’arte che entra in un sistema di relazioni più complesso accogliendo marginalità, addirittura estraneità all’arte stessa secondo una nuova prospettiva originale.
Ma in verità non tutto è arte e c’è un’assoluta differenza tra le produzioni degli alienati e quelle degli artisti, anche se le prime suscitano la nostra attenzione, come quelle dei primitivi, e provocano di certo un’emozione profonda. Lo schizofrenico si costruisce il proprio mondo secondo un’arbitrarietà completamente ripiegata su se stessa, in un isolamento che rimane inaccessibile. L’artista invece, pur provato da un simile spaesamento, è sempre guidato da un’azione che nasce da un giudizio e da una decisione, che pur nell’angoscia che sente rimane frutto di un’attitudine serena e trasparente. La differenza fondamentale è dunque tra chi è prigioniero della propria follia e chi riesce a padroneggiarla, con il metodo.