Era un bel posto pieno di alberi e tante casette basse che a prima vista pareva un campeggio, e che sfociava peraltro su una delle più belle spiagge del paese, quella di Tantura. Quel luogo fu meta di miei vari e futuri pellegrinaggi tanto ne ero innamorata. Pur essendo piccola, rimasi assai colpita dal modo in cui vivevano, la zia era tosta e allegra ma la sua casa era piccolissima perché tutte le attività le facevano in comune, come i pasti, nel Hadar-ochel, la sala da pranzo, che a me sembrava la mensa alla Scuola ebraica, ma molto più grande, e poteva ospitare tutti i membri del kibbutz .
Ci sistemò alla buona, perché all’epoca facevan tutti ancora molta fatica, e tutto pareva molto fragile, dalle case, ai mobili , ai vestiti, insomma … di scarsa fattura. Ma ciò che mi colpì molto era la gentilezza: ovunque si andasse, tiravano fuori torte e dolci fatti in casa e un tipo di sciroppo, il Mitz che, in scarsità di bevande di frutta veniva versato nell’acqua e più o meno ( un po’ alla lontana) sembrava un succo di frutta. C’era poco in generale, ma molta ospitalità. Ricordo la visita al Palazzo di Erode, a Cesarea, bellissima, e ho una foto in bianco e nero che son seduta comodamente su una colonna romana, con il Kova Temble, il cappellino nazionale. Il mar Morto invece mi fece molto male e piansi perché avevo una ferita al piede e la consistenza dell’acqua per via del sale non permetteva di entrarvi, ma ricordo che mio padre si fece fotografare seduto sull’acqua a leggere il giornale: molto iconico. Ricordo anche la visita a Gerusalemme, il Muro del Pianto e la spianata della Moschea erano aperti e liberi. Il viaggio verso Eylat, sul Mar Rosso, fu problematico invece, la traversata nel deserto del Neghev in macchina senza condizionamento: mio padre ebbe dei miraggi di branchi di cammelli che ci venivano incontro, mentre mia madre per cercare di calmarlo, gli versava acqua sulla testa.
La zia Rita viveva con il marito Elie e i figli Yoel e Aldo, che era molto più grande di me ed era già di leva, a Batyam, e pur lavorando entrambi in banca, pareva che pure loro non se la passassero troppo bene. Gli edifici dell’hinterland di Tel Aviv erano davvero brutti, spesso fatiscenti come anche a Tel Aviv del resto, tranne che nella zona che oggi si chiama Neve Tzedek, il quartiere che ospita le case più antiche, quelle di fine Ottocento, tra cui la splendida casa del poeta nazionale, Nahman Bialik, in stile eclettico. Ho composto un intero ciclo di opere, quello di “Eden”, dedicato ai pionieri del kibbutz, ai tanti bambini, ai giovani, agli orfani di mezza Europa, che con in mano un libro e l’altra l’aratro, hanno dato vita a un sogno.