Dovrà essere un nostro compagno di vita e come tale comodo da avere con sé, come un cellulare, se non fosse che quella losca tavoletta è infida, molto infida, come vi ho detto la settimana scorsa. Penso che sarà invece collocato in un wearable, un oggetto indossabile di uso comune: un bracciale, un orologio, un occhiale per chi li porta o dovrà portarli, degli auricolari.
L’architettura dell’alleato digitale più convincente potrebbe essere quella di una base da polso, integrabile all’occorrenza con occhiali smart, con telecamera, auricolari, microfono e sensori biometrici incorporati. Gli occhiali interattivi lanciati da META qualche settimana fa consentono addirittura di vedere, attraverso le lenti, immagini, grafici e testi in sovraimpressione. Costano una decina di migliaia di euro per ora, ma verosimilmente, come accade a tutte le tecnologie massive emergenti, potranno diventare più accessibili in futuro. Alternative agli occhiali potrebbero essere auricolari e una spilla con fotocamera.
Essendo il display la principale causa del consumo delle batterie (specialmente gli schermi più performanti OLED che gestiscono oltre 3 milioni di pixel nel caso degli smartphone di fascia alta, veri e propri status symbol) e la parte che ne condiziona di più le dimensioni potrebbe essere sensato che l’alleato riduca o elimini questo componente per avere più autonomia e eventualmente servirsi degli schermi che la persona già possiede per mandarvi immagini se necessarie alla interlocuzione alleato-umano. L’alleato digitale dovrà insomma ispirarsi alla frugalità ed essere poco energivoro.
Esso potrà basarsi su unità meno costose dei “systems-on-a-chip” dei cellulari, potendo assommare meno funzioni a bordo. Occorre garantire all’alleato digitale la possibilità di interloquire con la persona e con la rete essendo un intermediario (middleware), che sta tra noi e il bazar del web. L’architettura potrebbe trarre vantaggio dalla vorticosa crescita del mercato dell’edge computing per l’internet delle cose (IoT) che vede sempre più sensori installati ovunque con una potenza di calcolo a bordo. Analogamente potrebbe sposare una filosofia di open source hardware (tecnologia aperta a integrazioni di componenti) per sfuggire ai monopoli in atto. Sicuramente questo oltre a ridurre costi e aumentare l’autonomia, consente la facile messa in comunicazione con altri alleati digitali (es. rapporto docente-studenti e rispettivi alleati) e la raccolta di dati distribuiti derivanti dai suoi sensori biometrici (frequenza cardiaca, passi, temperatura, umidità della pelle, segnali elettromagnetici cerebrali, ecc.).
Ma l’hardware non è tutto, ci vuole anche il software. Ne parliamo la prossima settimana.