IL Digitale


Dall’Australia con furore

Nei giorni scorsi l’Australia ha passato una legge draconiana: divieto di usare social media ai minori di 16 anni. Con 27 milioni di abitanti, questa normativa non rappresenta ancora un grosso problema per le multinazionali del digitale, ma la decisione ha preso tutti di sorpresa, ed è probabile che altri la imitino. Come interpretare quest’iniziativa a favore dei nostri ragazzi?

Alcune aziende hanno già iniziato a chiedere patente o carta di identità per autenticare l’utente, e così facendo eliminano molti degli utenti anonimi. Altre “guardano” il traffico del ragazzo e tagliano i ponti con persone adulte, effettivamente isolandoli da scambi che potrebbero essere pericolosi. In pratica l’industria non è pronta a questo tipo di normativa, e l’Australia ha concesso un anno per capire come adeguarsi.

Altri paesi hanno provato a promulgare leggi di questo genere: un anno fa in Francia, ma la cosa è scemata quando han visto che i ragazzini aggiravano il divieto con le VPN. Anche gli USA hanno legiferato: in Tennessee i genitori devono dare il proprio consenso scritto affinché le aziende consentano l’uso ai loro pupi, e sono ben 40 gli stati che hanno stabilito regole in merito (qui), ma in generale le norme sono ancora nebbiose e lasciano molto spazio di manovra al’industria.

In questo primo istante di imbarazzo e dubbio su come fare in Australia, vediamo uno scaricabarile, con Meta che pretende siano gli operatori telefonici a farsi carico dell’età dell’utente, e le associazioni dei genitori che protestano per evitare finisca tutto in cavalleria, insieme alla privacy dei ragazzi. La legge australiana, proprio in ragione della tutela della confidenzialità dei dati, non consente l’uso di documenti identificativi, rimandando quindi all’uso dell’intelligenza artificiale per capire chi ha meno di 16 anni. E, ciliegina sulla torta, non prevede alcuna sanzione per i ragazzini che provino ad aggirarla.

Le aziende hanno pochi mesi per evitare multe da $30 milioni, ed a ben guardare i punti da chiarire son tanti. Oltre al divieto dei documenti d’identità, la legge non tocca le piattaforme cui si accede senza credenziali, come YouTube, Pornhub, giochi on-line e messaggi. Se blocchiamo Instagram per poi trovarci i ragazzi su Pornhub, forse non abbiamo fatto un affarone alle famiglie, ed anche Meta non vorrà adeguarsi perché palesemente ingiusto.

Il governo ha promesso di avviare studi sull’utilizzo di fattori biometrici per determinare l’età, ma questa tecnologia al rischio di perdita di dati personali sensibili e di fare un danno peggiore di quanto si voglia curare. Un altro gruppo di ricerca dovrebbe occuparsi di come ovviare all’uso della VPN: se il 75% dei ragazzini francesi in meno di un mese ha aggirato il divieto con questo strumento, i coetanei australiani farebbero anche prima.

In pratica l’Australia ha promulgato una legge che non prevede sanzioni per i ragazzi oggetto del divieto, impone vincoli burocratici alle aziende, brancola nel buio sulle soluzioni tecniche ammissibili, e lascia fuori dai giochi aziende tanto pericolose quanto quelle dei social media. Ci troviamo da un lato i ragazzi che non accettano questa limitazione alla loro libertà, aziende che hanno i mezzi e le competenze per aggirare la norma, ed in mezzo genitori ed insegnanti, dubbiosi se questa norma li aiuterà a porre un freno all’uso dei social media.

Legiferare in ambito tecnologico è molto difficile: anche con i migliori intenti come questo, pur in presenza di evidenza scientifica come il danno da eccessivo uso di social media, l’immaterialità della cosa e la rapidità dell’evoluzione tecnologica sono difficili da imbrigliare.


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