È in questa sospesa atmosfera che la Federico Rui Arte contemporanea ha trovato la nuova e bella sede, un po’ un loft di stampo newyorkese, grande e arioso. E con una mostra collettiva dal titolo “L’isola che non c’è”, a cura di Vittoria Coen, ha inaugurato sia la mostra che il nuovo spazio, con bravi artisti a cui mi accomuna la ricerca artistica sulla pittura contemporanea , sempre bistrattata da tutti ma mai accantonata in modo definitivo.
Diciamo che la maggior parte di noi rimane inguaribilmente romantico e il confronto con la pittura del passato è un punto fermo, direi necessario. “L’isola che non c’è” è infatti un luogo ignoto, un luogo di incanto e di sperdimento, una riflessione sulla natura stessa del fare artistico, in bilico tra sogno e realtà, tra idea e forma. In ciascuno degli artisti presenti in mostra, questo atteggiamento, questo pensiero, è nodale, lontano da una certa dimensione ironica dell’arte contemporanea, tutta legata al mercato e fatta di poco, come la banana di Cattelan, battuta all’asta per 6,2 milioni di dollari. Senza sminuire nessuno è davvero una battuta.
Aprire un nuovo spazio d’arte è una cosa coraggiosa, aprire un nuovo spazio per la pittura, addirittura contemporanea, è da temerari: non so se Federico Rui sappia davvero quanto questa impresa sia di enorme valore, e penso al Don Quijote de la Mancha, quando dice al fedele Sancho Panza “Sappi, Sancho, che un uomo non vale più d’un altro, se non fa più d’un altro”. Auguro alla galleria e a tutti gli artisti, di fare sempre di più, di valere sempre di più, con forza, coraggio e determinazione.