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Fare impresa in America vs Italia

La scorsa settimana il Consolato di Boston ha organizzato una serie di eventi per promuovere la creatività italiana, mettendo in mostra letteratura, arte, scienza e tecnologie: ciliegina sulla torta la Scuola di Alta Cucina di Parma che ha trattato al meglio gli ospiti tra Parmigiano, prosciutto e coppa. A me il compito di parlare della differenza nel fare impresa qui o in Italia, per capire dove e come sia meglio investire.

In questo grafico vediamo una prima differenza: in Italia ed Europa si tende ad investire molto nelle fasi iniziali di vita di un’azienda, spesso grazie ad incentivi regionali, statali ed europei, per poi lasciare che se la cavi appena è passata a fare margini. Pensiamo ad una Northvolt, che ha raccolto incentivi in giro per l’Europa, ha iniziato a camminare con le proprie gambe, ma alle prime difficoltà e ritardi è diventata zombie ed ora fallisce.

In America facciamo diversamente: nessun incentivo governativo, al massimo i soldi tuoi, di amici e parenti ed angel investor (privati che scommettono del proprio) per arrivare nel modo più efficiente possibili a margini positivi in modo affidabile. Solo a quel punto Venture Capital ed altri capitali di rischio entrano per farti scalare. In questo modo le start-up falliscono molto prima, di conseguenza sono molto più numerose, e quelle che scalano non falliscono in modo fragoroso come la succitata.


Da questa differenza ne discende una seconda: oltre ad una più elevata attitudine al rischio e maggiore numerosità delle start-up, il processo di rapida scrematura iniziale porta gli investitori a scommettere su cavalli che hanno buone possibilità di successo, e come vediamo nel grafico sotto, osare molto di più che in Italia. 

$15 milioni ti danno modo di strutturare un’azienda in modo serio ed industriale, mentre con un decimo di quella cifra fai le nozze coi fichi secchi e nonostante tu possa dire che sei efficiente e non sprechi nulla, non sei credibile.

Una terza differenza è che qui guardiamo all’innovazione di un prodotto o di un servizio in modo che possa servire tutto il mondo, non solo il mercato domestico. In questo siamo aiutati dall’avere in città una forte comunità di immigrati da tutto il mondo, che riesce a dirti se quell’idea funzionerà in America, Tailandia, Nigeria e Brasile. Troppo spesso quando incontro start-up italiane le vedo concentrate sul mercato zonale che conoscono, i concorrenti della porta accanto, e continuano a ripetermi che da loro quel concorrente canadese, belga o cinese non potrebbe mai funzionare, per una serie di infinite ragioni sempre noiose e sbagliate.

Un’ultima differenza consiste nella proporzione di aziende giovani rispetto alle vecchie: in America il 9% ha meno di un anno, il 35% meno di cinque e chi tira l’economia è sui 25 anni. Con l’età cresce la burocrazia interna e diminuisce la propensione al rischio, il motivo che ha portato tante aziende tecnologiche ad un rapido declino, e che ora sta asfaltando quelle centenarie automobilistiche incapaci di attrezzarsi per software ed elettrico.

Aiutando qualche piccola azienda in Italia, mi sento di dire che prima si tolgono agevolazioni ed incentivi, meglio è per tutti. Alla recente fiera delle macchine per l’enologia ed imbottigliamento (SIMEI) sono arrivate aziende da tutto il mondo per comprare la nostra tecnologia, mentre le aziende italiane hanno subordinato l’investimento ai bandi regionali per gli incentivi. Così facendo il singolo imprenditore italico risparmia, ma resta in ritardo rispetto al concorrente, che quando arriveranno i bandi avrà conseguito vantaggi di produttività e qualità del prodotto, risultando vincente sul mercato. E per l’ennesima volta l’incentivo ci sarà tornato sulla testa come un boomerang, danneggiando sia la competitività Paese, sia le tasche dei contribuenti che vedono sprecate le loro tasse.

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Zafferano

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