Pensieri e pensatori in libertà


L’amicizia nel terzo millennio

Una ricerca dell’Università del Colorado rivela qualcosa di interessante sulla nostra società prendendo un punto di vista inconsueto: l’amicizia. La ricerca, ripresa da diversi articoli di giornale, tra cui uno significativo di Olga Khazan su The Atlantic, fa capire che nella nostra società occidentale siamo sempre più soli.

Dai risultati emerge che la differenza tra la concezione attuale dell’amicizia e quella di 20, 30, 40 anni fa non è nel non avere amici o averne un numero minore. Come nel passato, ciascuno ha 4-5 persone che considera amiche. Tuttavia, i 4-5 sono legati a cose che si fanno, tra loro non si conoscono e ci rammarichiamo sempre che potremmo essere più legati di quanto in realtà non siamo. Cosa vuol dire? Una volta si era amici perché si era legati a un luogo di appartenenza (gruppo, parrocchia, partito, associazione, movimento) e, quindi, si facevano tante cose insieme. Ora, gli amici si dividono per ambiti di attività. Ci sono gli amici dello sport, della danza, dei viaggi. È scomparsa la partecipazione a corpi intermedi, a luoghi di interesse comune che possano poi far aprire a tutti i campi. Invece, gli amici dei diversi ambiti di attività sono legati a certi momenti della nostra storia, non si conoscono fra loro e non si ritrovano automaticamente alle riunioni del gruppo di appartenenza. Così, il proseguimento dell’amicizia è spesso legato all’iniziativa del singolo. Mi devo impegnare per vedere gli uni e gli altri e, quando un appuntamento salta, si rischia di rimandare di molto il rivedersi, indebolendo l’amicizia. Alla fine, il dato americano è che oggi passiamo meno di 3 ore alla settimana con gli amici mentre dieci anni fa ne passavamo 6.

Il quadro della ricerca si completa facendo vedere come siamo tutti perennemente impegnati in agende complicate, anche i ragazzi. Anzi, per paradosso, in una società con mezzi di comunicazione velocissimi, dalla generazione dei millennial in avanti si sono persi molti minuti di tempo libero. I ragazzi non hanno mai tempo per l’amicizia, divorati dall’ansia di non perdere qualche possibilità o attività, salvo poi sentirsi soli.

Le considerazioni culturali che queste ricerche suggeriscono sono di due ordini. Il primo è sulla filosofia generale della società. Mentre negli anni a cavallo del millennio c’era una diffusa concezione postmoderna di relatività dei valori fino alla percezione nichilistica della loro insensatezza, oggi il mondo occidentale vive di ansia da prestazione individuale, nel perenne sentimento di dover far qualcosa per migliorare se stessi in uno sforzo perfezionistico che toglie tempo alle relazioni umane. Solo che questa impostazione si scontra con la nostra struttura: l’essere umano è un animale relazionale, è fatto per l’amicizia tant’è che, come diceva Aristotele nell’Etica nicomachea, “nessuno deciderebbe di vivere senza amici, anche se avesse tutti gli altri beni”.

La seconda considerazione è di ordine sociale. I corpi intermedi sono stati oggetto di critica severa come luoghi in fondo pericolosi. Partiti, famiglie, chiese, persino i boy scout sono stati screditati. In Italia è emblematico il trattamento degli ultras delle squadre di calcio, che ormai rivestono il ruolo dei cattivi per eccellenza. È una cultura dell’individualismo, che sembra essere l’esito del liberalismo occidentale. La rivoluzione digitale, non ancora ben assorbita, per ora peggiora la situazione. Molti pensano che questo triste finale individualista e narcisista sia prodromo di dittature e guerre. Nulla di più facile del manipolare un essere umano isolato e nulla di più probabile del gettarlo poi in uno scontro. Sara veramente così?

Non lo sappiamo ancora, ma di certo, per il momento, un gesto rivoluzionario sarebbe quello di spegnere per qualche ora il cellulare e “perdere tempo” insieme agli amici, magari a pensare e parlare.

© Riproduzione riservata.
Zafferano

Zafferano è un settimanale on line.

Se ti abboni ogni sabato riceverai Zafferano via mail.
L'abbonamento è gratuito (e lo sarà sempre).

In questo numero hanno scritto:

Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Guido Saracco: già Rettore Politecnico di Torino, professore, divulgatore, ingegnere di laurea, umanista di adozione.