Vita d'artista


Marat all'ultimo respiro

“Il divino Marat, con un braccio fuori dalla vasca, e la penna per l’ultima volta nella mano ormai inerte, il petto trafitto dalla ferita sacrilega, ha appena reso l’ultimo respiro”: questo è il commento di Charles Baudelaire di fronte all’opera di Jacques-Louis David quando venne esposta nuovamente a Parigi nel 1846 dopo decenni di damnatio memoriae. 

Lo cita in un suo mirabile saggio Carlo Ginzburg, trattando dei rapporti tra arte, politica e religione.

Sì, perché siamo nel pieno della Rivoluzione francese e l’anno scritto sulla cassa di legno in primo piano sotto la dedica “à Marat” è l’an deux del calendario rivoluzionario, con cui la Repubblica appena nata dichiarava l’inizio di una nuova era. David non fu solo pittore ma politico di primo piano, divenne prima segretario poi presidente della Convenzione. Fu anche una specie di coreografo politico, orchestrò feste e funerali, disegnò sigilli, monete e caricature, disegnò abiti e fece il ritratto a martiri repubblicani come Le Peletier e Marat. L’assassinio di Marat, l’"Ami du peuple", aveva destato un’emozione fortissima, e post mortem divenne oggetto di una venerazione diffusa, un culto difficile da controllare. Il ritratto, commissionato dalla Convenzione, fu dipinto in soli tre mesi.

A differenza delle opere precedenti di David, più allegoriche e classicheggianti, il Marat che viene rappresentato “all’ultimo respiro” (con la mano che tiene ancora la penna e sul volto un vago sorriso) è un’opera tutta a chiare lettere: a parte l’invisibile assassina, Charlotte Corday, evocata però dalla lettera aperta di fronte allo spettatore, la vasca da bagno, il calamaio, la tavola in legno come scrittoio, un umile coltello sporco di sangue sembrano delle sante reliquie, e non a caso alcune di esse, come vestigia materiali, furono esposte al funerale. La morte di Marat deve molto all’iconografia cristiana del Cristo morto, anche se secondo Ginzburg, “non siamo di fronte a un semplice quadro politico, bensì a un atto politico”. Ciò nonostante, al pari del Cristo morto del Mantegna, è un grande capolavoro.

L’opera sparì per decenni dalla circolazione, dopo la morte del pittore gli eredi cercarono senza successo di venderlo, ma il quadro era ancora scandaloso: simboleggiava i peggiori eccessi del Terrore. Perché David, giacobino e seguace di Robespierre, si appropriò di un iconografia cristiana per raffigurare Marat, martire repubblicano? Forse perché la Repubblica, appena nata dopo l’abbattimento della monarchia di diritto divino, cercava un’ulteriore legittimità invadendo la sfera del sacro? E’ il potere secolare che si appropria, come abbiamo visto anche di recente, dell’aura (che è anche un’arma), della religione.

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In questo numero hanno scritto:

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Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro