LA Caverna


...il Sé è più distante di qualsiasi stella. (G.K. Chesterton)

In questa “modernità liquida” (Zygmunt Bauman) il processo di individualizzazione è un processo molto faticoso per l’uomo perché comporta un non facile impegno personale di autodefinizione e autoaffermazione. La conoscenza di sé non è una cosa data ma un compito mai finito. La nostra società individualista-occidentale ha teorizzato un “Sé Indipendente” dove la dimensione privata dell’Io ha un’importanza maggiore della pur rilevante dimensione pubblica, perché l’attenzione cade sulle emozioni, sui desideri, sui valori, sui ricordi e impulsi personali.

L’identità sociale è quella parte del concetto di Sé che deriva dalla consapevolezza di essere membri di un gruppo, a cui ci si sente emotivamente legati e su cui si fa riferimento al fine di orientarsi nell’insieme delle norme, dei valori e delle ideologie che circolano nell’ampio contesto della vita. Senza identità sociale, il “Sé Interdipendente”, sarebbe molto difficile relazionarci gli uni agli altri.

Le categorie sociali in cui inserire noi e gli altri sono necessarie al fine di posizionarsi all’interno del mondo di appartenenza. Il radicamento, difficile da definire, è forse il bisogno più importante e più misconosciuto dell’anima. Mediante la sua partecipazione reale, attiva e naturale all’esistenza di una collettività che conserva vivi certi tesori del passato e certi presentimenti del futuro, l’uomo coltiva e sviluppa le sue radici. Gli occorrono radici multiple poiché ha bisogno di ricevere quasi tutta la sua vita morale, intellettuale, spirituale tramite gli ambienti cui appartiene. Attualmente questo radicamento è svigorito, il senso di appartenenza ad una cultura o ad una comunità non è più univoco e immutabile. La persona avverte solo una responsabilità individuale ma nessun sostegno sociale. Non siamo in presenza di un’identità molteplice ma di molteplicità senza identità, di personalità “pastiche”.

Una “personalità-pastica” è un camaleonte sociale, mutevole e cangiante che si adatta costantemente alle varie situazioni. (Anna Zanardi) Questo sbriciolamento dell’esperienza unitaria dell’identità personale se può essere un’opportunità - la vita risulta più espressa e arricchita, si crea un Sé versatile, fluido e adatto al funzionamento in un mondo incerto ed ambiguo (Adriano Zamperini) – può determinare un tale disancoramento dal sistema sociale per cui le relazioni non sono più localizzate e radicate da un riferimento stabile al passato e al futuro. (Anthony Giddens) Tale identità non permette rassicurazioni definitive e l’insufficiente senso di stabilità che dovrebbe derivare da essa predispone a disturbi psichici. È una “fatica essere se stessi” (Alain Ehrenberg).

La richiesta sempre più diffusa di dover essere se stessi, richiesta/opportunità tipica del Sé Indipendente, sottopone gli individui ad una pressione psichica eccessiva. L’individuo, liberato dalle tutele religiose e morali, spogliato da ogni tipo di “appartenenza naturale” cerca di rispondere all’imperativo moderno di realizzarsi da sé ma questa alienazione sociale è insopportabile. Identità e connessione sociale sono da considerarsi entrambi come bisogni di base. Un’identità ha bisogno di unicità e differenziazione e, al contempo, di appartenenza e legami. In ogni persona c’è un continuo oscillare tra il bisogno di vicinanza e la differenziazione dagli altri, tra il riconoscimento della propria unicità e dell’appartenenza a determinati sistemi valoriali che offrono un terreno comune.

Le dimensioni costitutive del “Sé Interdipendente” sono: l’Appartenenza, l’Influenza, come bisogno individuale di influenzare la comunità ed esercizio di influenza della comunità sull’individuo, l’Integrazione, come opportunità di soddisfazione dei propri bisogni e più motivazioni a investire risorse per il bene comune e la Connessione emotiva condivisa, il legame affettivo, basato su una storia percepita come comune a cui si sente di appartenere. Ma anche la comunità può diventare luogo in cui si originano patologie. “È difficile impegnarsi, è difficile investire su sé stessi, è difficile avere speranza.” (Anya Kamenetz).

In una sintetica formulazione Jerome Brune afferma che, per quanto sia possibile fare affidamento su di un cervello funzionante per conseguire la nostra identità, «fin da principio siamo virtualmente espressioni della cultura che ci nutre. Ma la cultura a sua volta è una dialettica, piena di narrazioni alternative su ciò che il Sé è o potrebbe essere. E le storie che raccontiamo per creare noi stessi riflettono quella dialettica». Il distress psicologico nei giovani risulta essere in aumento rispetto al passato così come aumentano i casi di suicidio giovanile in molti paesi occidentali. Il rischio di sviluppare disturbi mentali per i giovani di oggi è superiore rispetto al rischio delle generazioni precedenti.

Esistono fattori sociali contemporanei tipicamente associati ai problemi di salute mentale e ad una diminuzione del benessere, tra cui i conflitti familiari, la mancanza di equilibrio tra vita e lavoro, la povertà e la disuguaglianza sociale, la forte presenza di valori culturali quali il materialismo e l’individualismo. Tuttavia, non vi è un’interpretazione univoca sulle conseguenze dei cambiamenti in atto. Per alcuni Autori i dati, in effetti, parlerebbero di una generazione più individualista e materialista rispetto al passato, di giovani con alte aspettative, amanti del benessere, più propensi a fare le proprie cose dando meno fiducia agli altri e meno importanza alla politica.

Nel cuore di questi giovani che sembrano tolleranti e sicuri di sé - la "Generation Me" - ci sono sogni, aspirazioni ma anche forti disillusioni. Minacciati dalla solitudine e dall’ansia, possono diventare terribilmente cinici, egocentrici e narcisisti. (Jean M. Twenge) Altre recenti indagini tra i “millennials” segnalano, invece, un interesse crescente per valori di stampo collettivo e per la ricerca di uno “scopo di vita” (Gabriel B. Grant). Una reazione forse alla crisi di valori che caratterizza il nostro momento storico in cui si è raggiunto un picco di individualismo che ha aumentato i rischi di superficialità, la perdita della memoria storica e del senso del reale, alimentando nuove forme di isolamento sociale e di solitudine?

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In questo numero hanno scritto:

Umberto Pietro Benini (Verona): salesiano, insegnante di diritto e di economia, ricercatore di verità
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Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
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Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro