Vita d'artista


Calle, papaveri e iris

Ho sempre avuto difficoltà ad accettare di partecipare a mostre delle donne, sulle donne o sulla creatività al femminile, perché le ho sempre ritenute ghettizzanti e forse anche un po’ offensive. Intanto perché il “genere” (maschile-femminile) è una dimensione primaria che dichiara, anche in arte, una differenza a priori, e là dove queste esibizioni parrebbero rappresentare un impegno, in realtà sottolineano l'evidenza, e con essa una sottile marginalità. Oltre a ciò vi è il  presupposto che la propria identità -  e il rendere pubblica la propria parola, lettera o opera artistica legandola ad essa - possa vivere solo all'interno di una atmosfera omogenea e ad hoc, perché non abbastanza matura per nuotare altrove e più lontano.

Ogni volta che leggo di...

... una nuova mostra collettiva al femminile, ad esempio quella appena inaugurata alla Galleria Nazionale di Roma con l'infelice e tautologico titolo "Io dico Io - I say I", mi viene in mente una crudele citazione di Virginia Woolf nel suo libro Una stanza tutta per sé ( 1928): un certo Dr. Johnson sul fare musica da parte delle donne osserva: “Signore, una donna che scrive musica è come un cane che cammina sulle gambe di dietro; non lo fa bene ma è comunque straordinario che possa farlo”.

E' chiaro che l’intenzione di queste mostre vorrebbe essere positiva ma perché sottolineare l'ovvio, e con esso dei "confini" che non dovrebbero più esistere? A quasi un secolo dal testo della Woolf bisognerebbe essere ormai oltre l’aver “necessità di prendere la parola e parlare in prima persona, per affermare la propria soggettività” (queste le parole delle curatrici della mostra). Le artiste dovrebbero dare l’esempio e non "partecipare".

Le Guerrilla Girls, un collettivo artistico e femminista statunitense, da anni denuncia con azioni e slogan alcune disparità di trattamento. “Do women have to be naked to get to Met. Museum?”: la loro celebre frase invita tutti a riflettere sul fatto che nella sezione d’arte moderna del celebre museo meno del 5% sono artiste donne ma l’85% dei nudi sono femminili. La cruda verità è che seguendo lo schema delle pari opportunità non si fa mai del bene all’arte: l’arte non può essere solo e soltanto ideologica (e questo vale anche per le Guerrilla Girls).

Penso alla grande Georgia O’Keefee, prima donna ad aver avuto una retrospettiva al Museum of Modern Art, e alla sua opera così particolare: quei dipinti audaci come “Inside red canna” (1919), la prima, sensuale, rappresentazione a olio di un fiore ingrandito.

Calle, papaveri e iris sono stati i suoi soggetti preferiti, dalla bellezza coraggiosa: “Sono assolutamente terrorizzata ogni momento della mia vita, ma non ho mai permesso alla paura di impedirmi di fare tutto ciò che ho sempre desiderato fare”.

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Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata
Barbara Nahmad (Milano): pittrice e docente all'Accademia di Brera. Una vera milanese di origini sefardite
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro