Già 2017, Rafael Yuste, insieme ad altri studiosi della Columbia University, ritenendo insufficienti le linee giuda etiche redatte per lo sviluppo e l’applicazione delle neurotecnologie, ha formulato sulla rivista Nature quattro raccomandazioni perché nascesse un dibattito a riguardo delle aree della privacy e del consenso, dell’agenzia e identità, dell’aumento delle facoltà umane e del pregiudizio.
Nello stesso anno, i ricercatori Marcello Ienca e Roberto Adorno, nell’articolo “Towards new human rights in the age of neuroscience and neurotechnology”, pubblicato sulla rivista Life sciences, society and policy, si sono spinti oltre, proponendo direttamente la formulazione di 4 nuovi diritti umani: il diritto alla libertà cognitiva (inteso come diritto a utilizzare o meno strumenti di potenziamento cognitivo), il diritto alla privacy mentale (a tutela della possibilità di non vedere i propri dati neurali “letti” ed “interpretati” dall’intelligenza artificiale e condivisi nel mare magnum dell’infosfera), il diritto alla integrità mentale (per evitare interferenze indebite sulla nostra mente) e il diritto alla continuità psicologica (per contrastare l’alterazione della percezione di sé e l’induzione cambiamenti comportamentali).
Nel frattempo, il Comitato Internazionale di Bioetica dell’Unesco, che nel suo report su “the ethical issues of neurotecnology” ha individuato quali possibili direzioni di intervento: i. l'adozione di protocolli aggiuntivi ai trattati internazionali; ii. il rafforzamento della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo; iii. l'elaborazione di una nuova Dichiarazione universale sui diritti umani e le neurotecnologie.
La proposta dei neurodiritti è stata accolta per la prima volta dal Cile. Il Parlamento del paese sudamericano, infatti, nell’ottobre 2021 ha approvato la Legge n. 21.383, che, modificando l’art. 19 della Carta Costituzionale, ha affermato come il progresso tecnologico dovrà essere orientato al servizio delle persone nel rispetto della vita e della dignità degli individui e la legge dovrà regolare l’uso delle neurotecnologie sulle persone, tutelando l'attività cerebrale e le informazioni che ne derivano.
L’idea dei neurodiritti– che si è rapidamente diffusa dall’Europa al continente americano - è stata invece rigettata da una parte della dottrina, la quale sostiene che non sussista lo stesso presupposto di questa elaborazione e che sia preferibile un approfondimento per preparare gli operatori della giustizia ad interpretare i diritti costituzionali attuali alla luce degli sviluppi delle neurotecnologie e dell’intelligenza artificiale.
In Europa seguiremo la via del Cile o adegueremo l’esistente quadro normativo? Ce lo diranno probabilmente gli esiti dell’applicazione dell’AI Act.
Alla prossima!