Supplemento


Spremuta di Camei

SI FACCIA DI NOTRE DAME UN TEMPIO LAICO

si faccia di notre dame un tempio laico

Questa foto (Ansa) coglie lo spirito profondo di uno spicchio della Francia giovane che assiste attonita all’incendio di Notre Dame. Nessun sociologo sarebbe riuscito a fare una selezione di tipi umani così impeccabile, come ha fatto il caso: i profili sono quelli della classe sociale che in Italia, con felice espressione, chiamiamo “maggioranza silenziosa”, qua nella versione giovane. Che poi altro non sono che le persone perbene. Hanno tra i venti e i trent’anni, giubbotti in tessuti tecnologici e sciarpe dal doppio nodo, come si conviene in una città ove il freddo è soprattutto umidità aumentata. Senza aver bisogno di un regista, quelli più giovani si sono messi in prima fila, sono in ginocchio sul gelido selciato (postura impeccabile, grazie ad articolazioni delle ginocchia ancora intatte), non hanno bisogno di parlare perché i loro volti esprimono le rispettive emozioni, alcuni anche i loro tumulti interni. L’unico che si lascia andare al pianto, anche se per pudore lo nasconde tra le due mani, è il più anziano, in seconda fila, a sinistra (lo immagino tale per i capelli appena brizzolati). In questa foto la tecnologia è assente, gli smartphone tacciono, una spoglia bici Peugeot d’antan serve per appoggiarsi, ci sono solo giovani, nessun animale da compagnia, la casa dietro di loro, importante come si conviene alla zona, è illuminata, ma non c’è nessuno all’affaccio Sembra Empire des lumières, di Réne Magritte. I giovani sono soli a osservare e a soffrire per l’ennesima perdita di un simbolo antico di una Francia che ogni sabato brucia, come Notre Dame.

Nell’inferno o nel paradiso dei filosofi (chissà dove sarà finito) gode Henri de Saint Simon che dopo la Rivoluzione propose di comprarla al solo scopo di distruggerla, in quanto la considerava il tempio dell’oscurantismo religioso. Allora intervenne Victor Hugo con il suo capolavoro (Notre Dame de Paris) che fu il mezzo cultural-pubblicitario che procurò i quattrini per la sua ricostruzione, seppur finto gotica. Le due guerre, il degrado progressivo, causa poca manutenzione da parte dello Stato (a cui competeva), portò all’attuale collasso, come innesco un probabile, banale corto circuito dei ponteggi, quando gli operai erano assenti. Sciatteria in purezza.

Cosa mi attendo? Che la Chiesa di Francia e il Vaticano prendano atto (mi scuso per l’orrendo linguaggio manageriale usato) che la “quota di mercato” dei cattolici praticanti in Francia è ormai irrilevante, nessuna possibilità di ricupero, e doni allo Stato francese i ruderi di Notre Dame perché ne faccia ciò che vuole. Non c’è neppure bisogno di sconsacrarla, ci ha già pensato il tempo. Un paese, in pratica, scristianizzato non ha bisogno di chiese ma di tempi laici, tipo la Piramide del Louvre (nell’atrio c’è tutto, le sale con le opere d’arte sono un accessorio), Emmanuel Macron prima ancora che l’ultima fiamma fosse spenta, si è affrettato a preannunciare un grande concorso internazionale per la sua ricostruzione, immagino con la solita compagnia di giro delle archistar di regime. Sono certo che sotto la discreta regia di Jaques Attali i capitali per ricostruirla si troveranno, eccome (François Pinault si è già fatto avanti con 100 milioni €, Bernard Arnault raddoppia (Tiè!), Total si ferma a 100, in attesa di vedete se il socio Khalifa Haftar ce la fa, altri seguiranno). Prosit.


JUVENTUS F. C. ULTIMO ASSET RIMASTO A TORINO

Perché la Juventus F.C. viene eliminata ai quarti della Champions, pur avendo costruito negli anni, pezzo dopo pezzo, la squadra perfetta, con l’allenatore perfetto, progettata e costruita da una società perfetta, con un Presidente (Andrea Agnelli) perfetto e con un management, fino all’ultimo magazziniere, perfetto. Di più, con una tifoseria molto devota? Eppure, da anni vince il Campionato italiano con una facilità disarmante, come giustamente dice Massimiliano Allegri obiettivo molto difficile da raggiungere per chiunque: lei invece lo ottiene addirittura in surplace, con molte settimane d’anticipo.

Un tempo la Juventus F.C. era criticata da metà degli italiani per presunti “aiutini” degli arbitri, categoria considerata psicologicamente suddita del suo strapotere societario, ma da quando c’è il Var questa tesi non è più oggettivamente sostenibile, anche da tifosi estremi come me. Si diceva che per vincere in Champions ci volesse il cosiddetto “top player” (eppure lei ne aveva già almeno uno per reparto). Il Presidente Agnelli decide di fare un ulteriore, incredibile sforzo finanziario, “compra” (pardon, mi sono espresso male, “affitta”) a peso d’oro le prestazioni del Ceo di CR7, una Holding con le sembianze umane di Cristiano Ronaldo. La risposta, e relativo ritorno economico sul fantozziano investimento fatto, è immediatamente confermata dai risultati ottenuti sul campo dalla holding CR7. La Juventus arriva ai “quarti” grazie alla sua straordinaria prestazione agli “ottavi” contro il espurios Atletico Madrid del “doppio sangue” Diego Simeone, inventore del “cholismo”.

Ai “quarti” gli toccano i ragazzini dell’Aiax, nessuno lo dice, ma lo leggo negli occhi umidi dei miei amici “competenti” che sotto i baffi sorridono: CR7 & Soci li ridicolizzeranno. Si sentono già proiettati a Liverpool, per poi vedersela in finale con il Barcellona di Leo Messi. Una vittoria nella notte di Madrid, con tutto il pubblico schierato contro i separatisti catalani, sarà l’apoteosi di un ciclo iniziato con il geniale amministratore delegato al quale si deve il progetto visionario di questa straordinaria avventura della Juventus F. C.: Antonio Giraudo.

Invece, in una banale notte torinese la Juventus F. C. viene surclassata da una squadra di giovanotti che giocano un calcio antico a velocità moderna: che sia questo il nuovo paradigma del calcio 2.0? E ora che fare? Delle due opzioni sul tavolo, Andrea Agnelli ha scelto la prima: la continuità, confermando Pavel Nedved, Fabio Paratici, e pure  Massimiliano Allegri. Così si comporta un Presidente che è pure proprietario: in primis difendere il patrimonio. Un amministratore delegato invece avrebbe licenziato il management e l’allenatore (ad alto livello chi sbaglia nell’execution paga, almeno io la penso così), monetizzato il parco giocatori monetizzabile, e sarebbe ripartito dai giovani (la Juventus F. C. ne ha molti, e tutti di valore). Avendo scelto, a caldo, la continuità, il Presidente Agnelli ha deciso di non imboccare la strada della rivoluzione. I tifosi ne prendano atto e ricordino che per Torino la Juventus, dopo lo scippo notturno della Fiat, è l’ultimo asset economico che ci rimane. Preservatelo.


PARTITI, GRANDE STAMPA, ESTABLISHMENT, TUTTI IN UN CUL DE SAC?

Da tempo non faccio più analisi politiche, da mesi scrivo che partiti, grande stampa, establishment sono in un cul de sac. Non faccio polemiche, mi limito a disegnare possibili scenari sul come uscirne: un divertissement intellettuale il mio che via via aggiorno. L’ultima volta l’ho fatto nel settembre scorso

  1. Matteo Renzi e Silvio Berlusconi hanno finalmente preso atto che il Partito della Nazione a cui puntavano non è più praticabile: una buona notizia per noi cittadini perbene. Il loro mito Emmanuel Macron terrorizzato che i gilet gialli arrivassero all’Eliseo, ha buttato dalla finestra 6-7 punti di Pil pur di salvare la ghirba. Più dignitosa Angela Merkel, sta chiudendo la sua avventura politica con l’accordo di Aquisgrana che degrada il sogno di Europa a un’alleanza pelosa con la Francia, entrambi felici di essersi liberati degli inglesi. La nuova Europa non è altro che una joint venture fra due bottegai, per distribuire agli europei le merci cinesi (scadenti) che arrivano alla stazione di Duisburg dalla Via della Seta.
  2. E M5S e Lega? Sono costretti a fare gli equilibristi fra le promesse (idiote) fatte ai loro elettori e il Mercato (non la Commissione europea, ormai in fase avanzata di decomposizione politica). I due vicepremier non hanno capito che sia la maggioranza nelle urne, sia quella incredibile dei sondaggi malgrado i macroscopici loro errori, non sono conseguenti alle loro tre ridicole e costose promesse del “voglio non posso” (“Reddito di cittadinanza, Flat tax, Legge Fornero”). I cittadini, banalmente, non volevano più vedere quelli che li avevano governati dal 2011 fino a tre mesi fa, i cosiddetti “competenti” (in realtà competenti nelle teorie incompetenti totali nella execution). La priorità dei cittadini era, e rimane, una sola: “Sicurezza” in senso lato, che comprende sia “Migranti” che “Lavoro”. Se volate fare politica, prima riposizionate la società correttamente, poi create ricchezza, quindi ridistribuitela.
  3. Il giochino vale pure per l’Establishment: anche loro non sanno come uscire dal cul de sac di chiacchiere ove si sono avvolti. Un giorno sognano l’arrivo di “Mr. Spread” (eppure dovrebbero sapere che il “mercato” sa far di conto). Un altro, addirittura di eliminare la loro bestia nera, Matteo Salvini per via giudiziaria. Ora sognano che arrivi Mario Draghi, un anziano signore dalla straordinaria carriera incrociata pubblico-privato da sempre immerso in quel modello politico, economico, culturale che ha ucciso il “liberale” ascensore sociale. Anche l’Establishment dovrebbe esprimere i suoi giovani gilet gialli, seppur targati Ztl.
  4. Infine, una riflessione sulla grande stampa, prendendo a riferimento solo le sette principali testate, dove il loro leader ha “rotto le acque” delle 200.000 copie. Eppure, sono tutti schierati sulle posizioni del passato, non una delle sette testate che, almeno all’apparenza, non pratichi azioni markettare di riposizionamento editoriale. I talk show poi si sono tutti radicalizzati a immagine e somiglianza di Lilli Gruber. Fuori dal coro tv restano Nicola Porro, grazie anche alla sua giovanile “Zuppa” (ultimo giornalista liberale nature su piazza), mentre da quello cartaceo si salvano La Verità, Italia Oggi, e poco altro. Per questo ho fondato Zafferano, non certo per prendere lettori dai pochi rimasti, ma per riportare alla lettura dei giornali le giovani generazioni. Personalmente mi rifiuto di lasciare ai miei nipoti un mondo così sbrindellato, succube dell’ormai ridicolo politicamente corretto dei dem americani.

Cari amici editori e direttori, ripetiamo sempre che siamo entrati in un mondo nuovo, è vero, ma pare non valga per noi: preferiamo rimanere al calduccio nei nostri bunker mentali. E’ ora di abbandonare l’osceno smog del mainstream, gettare nel cassonetto il linguaggio da bugiardino farmaceutico con il quale ci esprimiamo. Non perdiamo il privilegio di ragionare con la nostra testa e il nostro cuore, fra poco arriverà la generazione “Z”. Non è come le altre, è molto meglio, e ci giudicherà.


riccardoruggeri.eu

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In questo numero hanno scritto:

Filippo Baggiani (Torino): commerciale settore moda, scrittore allo stato quantico
Marinella Doriguzzi Bozzo (Torino): da manager di multinazionali allo scrivere per igiene mentale
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale
Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata
Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Marco Sampognaro (Brescia): giornalista prestato all’Università, specializzato in inseguimento sogni
Giancarlo Saran (Castelfranco Veneto): medico dentista per scelta, giornalista per vocazione