In The Game l’autore ridispone con passione testarda il suo istinto, il suo sapere umanistico e la sua esperienza intorno ad un fulcro preciso: esumare, inventariare e interpretare le tracce degli individui nel loro percorrere la svolta digitale, fino a rendere visibile quel territorio senza confini che rappresenta una diversa civilizzazione, con le relative coerenze e contraddizioni. Si mettono in ordine date e numeri, si tracciano mappe che mantengono meno di quanto promettono, si fiuta, si studia e si ragiona partendo da come muta la consistenza stessa dell’esperienza fisica e mentale tra il cimentarsi nell’arcaico calciobalilla piuttosto che con il videogioco Space Invaders (1978); perché <siamo divinità festive, che creano nel settimo giorno, quello in cui il vero Dio si riposa >.
Perpetrate la ribellione e la fuga dai valori e dalle élites novecentesche saltandone le mediazioni, modificate non tanto le mosse quanto cambiata la scacchiera, reinventati gli strumenti relativi, l’umanità ha perseguito un modo radicalmente diverso di pensare ed agire, passando dall’antico trinomio uomo-spada-cavallo al sovversivo uomo-tastiera-schermo. Fino alla postura zero dello smartphone e alle app in guisa di protesi. Per muoversi, con la sua umanità aumentata, in una replica digitale e ribaltata del mondo conosciuto, trasportando tutti i mondi precedenti in un unico ultramondo parallelo, complesso in profondità ma semplice in superficie. La velocità magari a scapito della qualità, la verità diminuita e ridisegnata in modo aerodinamico per arrivare prima, ma sempre con l’inebriante sensazione della libertà senza limiti né regole. Da cui un individualismo-egoismo di massa che si muove leggero in zone dove tutto è più facile e divertente, secondo dinamiche che sono particolarmente affini al funzionamento del cervello, quando vaga, e quindi linka, senza costrizioni. Che poi la rivoluzione non realizzi il primigenio sogno democratico, che il tutto sia diventato l’unità di misura del web, che guadagni non più chi crea ma chi distribuisce, che i monopoli imperversino e non paghino le tasse investendo sull’intelligenza artificiale, ha sì generato timori e controspinte, esercitate tuttavia utilizzando quello stesso web da cui nessuno ha la minima intenzione di uscire..
La concisione della sintesi non sembri costretta solo dallo spazio. La singolarità di questo libro è anche nella sua organizzazione e nel suo stile. Si è parlato spesso di baricchese in termini irridenti ed è vero che il nostro si muove talvolta come un catechista sornione. Però è uno dei pochi che non solo sa usare lo storytelling, ma che amalgama da sempre l’analogico e il digitale: dal primo mutua l’antico ronzio di un approccio maieutico, dal secondo la fulmineità aforismatica, immediatamente riconoscibile ed invitante come un’icona dello smartphone (< Ciò che può essere riassunto da un duello avrà vita facile: Achille contro Ettore non perde da millenni >).
The Game è quindi un libro utile, adatto ai giovani natii digitali per renderli coscienti del liquido amniotico da cui provengono; consigliabile a coloro che hanno anagraficamente un piede qua e l’altro nell’analogico; terapeutico per gli anziani, relegati a postare qualche tramonto. Dei tecnici invece non immaginiamo le repliche, silenti sottotraccia fin dall’alba della rivoluzione.
The Game di Alessandro Baricco, Einaudi 2018, 325 pagine, 15,30 euro