Pensieri e pensatori in libertà


Il capitano Achab e la tragedia del comandante

Ho riletto Moby Dick di Herman Melville, che avevo letto troppo da piccolo e senza capire. È un capolavoro di scrittura e di ideazione. Chi vuole capire l’America deve partire da qui, dal romanzo emblema del calvinismo ottocentesco. La balena bianca, la cattivissima Moby Dick che attacca i cacciatori, diventa l’icona di....

... ogni male, del demoniaco che, con le sue proporzioni gigantesche e la sua bianchezza straniante, avvince la mente dell’uomo che si lascia affascinare e scalfire da esso. Il capitano Achab, già ferito e reso storpio dal morso dell’enorme mammifero, è soggiogato come la falena dalla candela e gira tutto il mondo per piombare a capofitto nel duello finale in cui affoga sé stesso, la propria barca e l’equipaggio, stranamente avvinto dalla sua monomania che diventa follia.

C’è l’intero calvinismo nelle sue forme migliori e peggiori: il coraggio estremo e il terrore bigotto, l’amore al lavoro creativo e la resa alla predestinazione meccanica, il razionalismo scientifico e il sentimentalismo superstizioso. Troverete tutto in una grande saga, interrotta (forse troppo) da spiegazioni affascinate sulle balene di ogni tipo e in ogni tempo.

Ma il cuore della tragedia è il capitano monomaniaco: Achab. Valente pescatore, dopo lo scontro con Moby Dick in cui perde una gamba, si convince di essere predestinato per uccidere il grande male del mondo che la balena bianca incarna. Con acuta descrizione psicologica, Achab sa di avere manie ossessive ma vuole con tutto sé stesso sprofondarci e sprofondare in esse chiunque sia nel suo cerchio di azione. Gode solo di cose e persone che gli ricordano la sua ossessione e non lo contraddicono. A nulla valgono i tentativi di farlo recedere: più gli dicono che la sua convinzione monomaniaca su sé stesso è solo un’ossessione di cui deve disfarsi, più lui si incaponisce in un crescendo di lucida spettrale follia, in cui sua debolezza e il suo dolore diventano odio al mondo e, infine, a Dio. Così il vendicatore del male del mondo ne diventa un succube, il cacciatore diventa preda.

A parte la precisione psicologica e il dramma religioso, il romanzo diventa così anche la parabola di ogni potere personalistico che diventa un’ideologia universale. Achab impone a tutti la sua mania personale, facendola diventare l’unica ragione di vita e di morte di tutti: ogni ideologia comincia da un punto vero e importante (la balena cattiva che ammazza i pescatori) e diventa un sistema di potere e di oppressione, incapace di ascoltare. È una parabola che si ripete eternamente, in ambienti piccoli e grandi, e che non finisce di stupire: come è possibile che tante persone si lascino irretire da una causa non loro e farneticante? Eppure è ciò che accade. Quanti piccoli e grandi Achab ci sono nel mondo! E, come direbbe lo scrittore russo Vasilij Grossman, quanti piccoli e grandi Achab ci sono dentro ciascuno di noi, pronti a saltar fuori non appena abbiano l’occasione di un piccolo potere personale. Per non dare voce e stura all’Achab di ciascuno occorre un colpo di fortuna che Achab non ha: quello di avere buoni amici o familiari che restituiscano il senso della realtà.


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