Prendo oggi a prestito le parole di Marcel Proust dalla sua opera magna À la recherche du temps perdu, per l’esattezza dal sesto volume Albertine disparue ou La fugitive. All’interno del poderoso impianto letterario costruito dall’autore francese, la figura di Albertine è una delle innumerevoli rifrazioni dell’ego perduto e ferito dello scrittore stesso. Ho scelto di partire da qui per riflettere sull’inesorabile disgregarsi della vita come sabbia sotto ai nostri piedi, volendo così nobilitare grazie al vostro leggermi un mio particolare momento di cambiamenti. Per chiunque se lo stesse chiedendo, non si tratta di una delusione amorosa, o meglio, l’oggetto del mio affetto infranto ha natura diversa da quella umana. Nel perenne migrare datoci dal fato spesso dobbiamo ritrattare le nostre decisioni iniziali, ma per quanto possa essere evento abituale il dolore che ne consegue rimane sempre lo stesso.
«Forse perché, ci bastava arrivare fin qui come onde di notte sulla spiaggia» cantava Mango nel 1987 in “Bella d’estate”, meraviglioso brano scritto a quattro mani con Lucio Dalla. È curioso come per narrare il mio dispiacermi verso progetti irrealizzati non mi riescano che parole di amori perduti: penso a quanto nemmeno Salvatore Quasimodo fosse riuscito nel narrare con distacco la sofferenza della separazione. «Come sei più lontana della luna, ora che sale il giorno e sulle pietre batte il piede dei cavalli» scrisse in una terzina datata 1942, personificando la sua Sicilia nell’immagine di una donna indimenticata. Ne vorrei dedurre che l’allontanamento è sofferto proprio come il finire di una relazione amorosa e chiudere assurdamente con questa domanda: perché i portoghesi quando si congedano dicono sempre adeus/addio?