Ricordo che le orche (lunghe 8-10 metri, 6-8 tonnellate di peso) sono al vertice della catena alimentare marina. Nessun animale marino le può predare, mentre lei li preda tutti, salvo il capodoglio, purché nella fuga faccia in tempo a immergersi a profondità a lei precluse. Neppure il killer per eccellenza, lo squalo, in qualsiasi versione, sfugge loro: lo uccidono solo per divorargli il fegato, di cui sono ghiotte. Appartengono alla famiglia dei cetacei odontoceti (hanno i denti) insieme ai delfini, dai quali pare si siano differenziati 5 milioni di anni fa. Una notazione personale. Anni fa ho avuto il privilegio di osservarle nella zona dell’isola di Vancouver, nella British Columbia canadese, uno spettacolo indimenticabile, un ricordo rafforzato dal bel film Free Willy (la storia dell’amicizia di un bimbo e di un’orca).
L’inizio della guerra, secondo National Geographic, viene fatta risalire al maggio 2020 quando un commando di orche-marines ha attaccato alcune barche a vela, distruggendo loro il timone. A giugno e a novembre 2022, sempre nello stesso spicchio di mare, altri attacchi a barche a vela, sempre con la distruzione del timone. Però, in questo caso, si accanirono anche sullo scafo fino all’affondamento. Ultimo episodio, il 17 maggio scorso, un gruppo di 9 orche killer ha attaccato, nella zona di Capo Trafalgar, per oltre un’ora, uno yacht facendo girare la barca di 180°, disattivando il motore e frantumando il timone. Mi dicono che da pochi giorni ci siano sul web video dove tre orche, sempre nello Stretto di Gibilterra, hanno aggredito due barche partecipanti alla The Ocean Race, gara di vela intorno al mondo.
Secondo il celebre biologo marino Alfredo Lopez Fernandez, nel periodo, ci sono state 500 interazioni, cioè una ogni cento barche che navigano fra la Galizia e lo Stretto. Non è noto il criterio di scelta del natante da attaccare, anche se la precedenza va alle barche a vela. Secondo gli scienziati l’ipotesi più probabile circa la deviazione psicologico-comportamentale delle 35 orche di Gibilterra debba essere fatta risalire all’orca White Gladys. Questa, forse colpita da umani di una barca a vela sconosciuta, durante la sua lunga agonia potrebbe aver disegnato alle consorelle sia le strategie che le tecniche perché la vendicassero. Un vero e proprio trasferimento di un know how di guerra contro i criminali umani delle barche a vela.
Lo skipper tedesco Werner Schaufelbergen ha raccontato che vide un orca colpire lo scafo a tutta forza, come se avesse preso la rincorsa, mentre in simultanea i suoi due piccoli (si fa per dire!) distruggevano il timone. Completato il loro lavoro i due cuccioli ripetevano sullo scafo i gesti della madre. Salvato dalla Guardia Costiera, il malcapitato vide affondare il suo yacht all’ingresso del porto. Stessa scena era avvenuta due giorni prima a Greg Blackburn, assalito da sei orche, che si comportarono come se l’avessero preso a mò di seduta di addestramento per le più giovani. E’ noto che le orche abbiano abilità cognitive tra le più alte nel mondo animale.
Curiosamente, le 35 orche assassine sono al contempo classificate come “animali in via d’estinzione” (quindi da proteggere) e “battaglione di marines criminali” (nazi o comunisti non sappiamo) da abbattere a ogni costo, per mantenere la libertà di navigazione nello Stretto.
Può l’Occidente, con tutti i problemi aperti che ha con il resto del mondo, entrare anche in guerra con le 50.000 orche rimaste, pronte a difendere le 35 di Gibilterra? E se ci dessimo una calmata?