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In un mondo che vede e non vuole capire si può comunicare un messaggio? C’è modo di superare simile egemonia?

In qualsiasi ciotola culturale peschiamo, abbiamo incontrato almeno una volta il tema della società asservita all’immagine e incapace di comprendere contenuti verbali o principi morali. In un contemporaneo 1984 orwelliano, i mass media influenzano il pubblico e manipolano la natura umana. L’atavica superiorità della parole cede alla videobanalità, la conoscenza è annichilita dalla mera informazione. “L’homo sapiens diventerà homo videns seduto dinanzi al televisore” minacciava Giovanni Sartori nel 1998, proponendoci un apocalittico degenerare delle coscienze umane. Ma davvero non c’è via di uscita? Siamo unicamente destinati all’appiattimento della sottocultura?

Zygmunt Bauman, sociologo e filosofo anti-globalizzazione, ci dice di no. Intervistato nel 2013 da Alessandro Lanno riguardo le contestazioni delle Femen, il pensatore rispose: “Lo scriversi sul seno nudo uno degli ultimi slogan per vendere prodotti, o al contrario un motto anti-shopping, hanno in comune il vantaggio di rendere il messaggio comprensibile a un pubblico ben allenato dalla società dei consumi.” La degenerazione del corpo femminile da significato a puro significante, può essere sfruttata “positivamente” per sensibilizzare la platea verso nuove tematiche. Le Femen manifestando in topless sovvertono le regole del gioco, dimostrando come sia possibile usare il proprio seno per qualunque uso.

Il problema non è l’assenza di mezzi di comunicazione, fintanto che utilizziamo correttamente quelli presenti. Il disagio che percepiamo nasce perciò da un eccesso di sapere veicolato massivamente, dal quale scaturiscono altrettante problematiche sociali. Nel 2011, durante una lezione al Salone dell’editoria Sociale di Roma, Bauman spiegò come l’incapacità di trovare una soluzione univoca sia il motore delle contestazioni popolari. “Viviamo in una sorta d’interregno gramsciano”, dove il modo di vivere non funziona, ma non troviamo un sistema alternativo migliore. Dicendola alla Montale: “ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.”


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In questo numero hanno scritto:

Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Umberto Pietro Benini (Verona): salesiano, insegnante di diritto e di economia, ricercatore di verità
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Alessandro Cesare Frontoni (Piacenza): 20something years-old, aspirante poeta, in fuga da una realtà troppo spesso pop
Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata