LA Caverna


Una democrazia in crisi

Il poeta Eliot diceva: “Tutta la nostra conoscenza ci porta sempre più vicini alla nostra ignoranza. Dov’è la sapienza che abbiamo perso nelle informazioni?” (Cori da "La Rocca"). Non possediamo più criteri di orientamento, punti focali per formulare giudizi sapienti. 

La nostra democrazia funziona come un mercato, in cui i politici vendono il loro prodotto, buono o cattivo non importa. La logica del marketing è quella di saper vendere bene, creando il bisogno e convincendo che il prodotto offerto è determinante per essere felici. Non è che tendenzialmente gli uomini preferiscano autogovernarsi, anzi, molto spesso preferiscono delegare la propria libertà. La democrazia, realizzata attraverso la partecipazione collettiva alle decisioni politiche, appare il miglior “procedimento “per tutelare le libertà. Si fa fatica, però, a “democratizzare” alcuni settori importanti della vita sociale, limitando la libertà di espressione e di stampa e il pluralismo degli organi d’informazione, rendendo difficile il confronto d’idee e opinioni. Gli strumenti di formazione dell’opinione pubblica si valgono fondamentalmente del web, di internet, ma in modo da creare un’influenza continua, con delle bolle di seguaci, in cui chi lancia i messaggi dice quello che la popolazione vuole sentirsi dire. Le domande politiche, di conseguenza, sono dispersive, istintive, non sagge. L’interrogativo di fondo è se queste preoccupazioni, queste richieste, queste istanze, sono reali o indotte. L’insicurezza e l’individualismo, poi, hanno creato diffidenza e sfiducia nelle istituzioni. La democrazia ha a che fare con i valori, il bene comune o è una competizione tra leader che si contendono il voto per ottenere il potere? La grande variabilità degli ordinamenti giuridici, differenti da paese a paese, e la società in continua mutazione, rendono “liquido” il concetto di democrazia. È difficile stabilire quali sono i criteri, le finalità che guidano i processi di definizione e di rinnovamento che dovrebbero orientare le scelte del popolo. Le strutture e le leggi di uno Stato vanno via via definendosi, seguendo e sviluppando diverse teorie legate a particolari sensibilità. Ogni ordinamento giuridico non risulta mai neutro rispetto alle domande che indagano appunto i valori, le finalità della vita e le ragioni ultime che muovono le azioni umane, né può mai essere neutro rispetto alle argomentazioni che lo mettono alla prova e lo contestano, e che rappresentano la ricerca dell’uomo sulle questioni esistenziali. In questo momento di svolta storica, la tradizione dell’istituzione democratica, se vuole permanere, deve accettare la sfida del cambiamento. Nello “Stato democratico”, la fonte di legittimazione è la “volontà popolare” che dovrebbe rifarsi a motivazioni che travalicano le ragioni della sola “legalità”, a principi morali, o criteri di «rispondenza alla giustizia, alla ragione, alla logica, e in genere a norme e principi di natura non strettamente giuridica. Ma pochi amano mettere mano alla politica “come servizio”, partecipando attivamente. Già Francesco De Sanctis, ministro dell’Istruzione nei primi governi dopo l’unità, in un discorso del 1877 parlava di apatia politica e aggiungeva: “impotente a fare, attivissima a demolire”. La democrazia per funzionare, per essere deliberativa, ha bisogno di mediatori che ci rendano informazioni con credibilità, che siano fonti di autorità su quello che è vero e su quello che è una menzogna. Prevale il decisionismo sulle deliberazioni ragionate, discusse e motivate. È una politica dell’emozione e non della ragione. I politici dichiarano, propongono, affermano, non discutono, non dibattono, non ascoltano. È necessaria un’istruzione, allora, non declinata come un fatto della scuola, ma finalizzata a quello che gli americani chiamano “people empowerment”, cioè a dare un vero potere al popolo, in modo che abbia delle competenze e quindi possa partecipare con conoscenza alla vita collettiva. La nostra democrazia è in una crisi mortale o in una crisi di crescita? Un’alleanza strategica tra democrazia, pace e benessere economico è un elemento fondamentale di speranza nel futuro.


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In questo numero hanno scritto:

Riccardo Ruggeri (Lugano): scrittore, editore, tifoso di Tex Willer e del Toro
Umberto Pietro Benini (Verona): salesiano, insegnante di diritto e di economia, ricercatore di verità
Angela Maria Borello (Torino): direttrice didattica scuola per l’infanzia, curiosa di bambini
Valeria De Bernardi (Torino): musicista, docente al Conservatorio, scrive di atmosfere musicali, meglio se speziate
Roberto Dolci (Boston): imprenditore digitale, follower di Seneca ed Ulisse, tifoso del Toro
Alessandro Cesare Frontoni (Piacenza): 20something years-old, aspirante poeta, in fuga da una realtà troppo spesso pop
Giovanni Maddalena (Termoli): filosofo del pragmatismo, della comunicazioni, delle libertà. E, ovviamente, granata