Risponde, ed immediatamente riconosce una voce familiare, da Louisville, Kentucky.
“George Foreman! Ehi amico, come stai?”
Dall’altra parte della cornetta c’è una figura iconica del 900’, sportivo e non, prima rivale, poi amico fraterno: Muhammad Alì.
Entrambi medaglia d’oro alle Olimpiadi, sono i due pugili più forti, si scontrano varie volte tra anni 60’ e 70’, fino alla celeberrima “Rumble in the jungle” a Kinshasa, fortemente voluta dall’ex presidente dello Zaire, Mobutu, il 30 ottobre 1974.
Vinse Alì, ma quel match cambiò la vita di entrambi: il primo si riscattò dopo l’arresto e la sospensione di tre anni per aver disertato l’esercito, rifiutandosi di andare in guerra in Vietnam, mentre il secondo, dopo pochi anni, lasciò il pugilato, nonostante la giovane età e divenne un predicatore a Houston.
Tra i due sfociò una amicizia vera, genuina, profonda che si sostanziava in lunghe chiamate telefoniche, nelle quali parlavano pochissimo di sport, ma tanto delle loro vite e soprattutto di religione, di spiritualità, di Dio.
Ci sono stralci di quelle chiamate che hanno una potenza enorme ed estremamente attuali.
Alì domanda a Foreman cosa stesse facendo, come se la passasse dopo il ritiro:
“Sto bene sai, seguo il Vangelo e "predico ai poveri", e per trovarli vado dove siamo stati noi da bambini, a girare per le strade. Gesù ha detto: "Andate per le strade e per le siepi", ma adesso sono in un posto. È solo un posto semplice, ma che può ospitare mille persone.”
Alì è sorpreso, pensa che un posto da mille persone sia davvero grande, e condivide la ricerca dell’amico di predicare il vangelo agli ultimi, a quelli che, come loro, erano in strada; domanda poi se in Texas incontrasse molti musulmani e se fosse amichevole con loro, ricordando che i musulmani sono persone pacifiche, che le persone violente non sono musulmane.
Vi è poi il pezzo pregnante della chiamata dove Alì, in poche e semplici parole, spiega un concetto irradiante, ovvero che la religione unica e vera è quella del cuore e se esso è giusto è davvero possibile fare del bene e che le diverse religioni non sono altro che un tentativo dell’uomo di dare nomi, titoli, di dare risposte differenti ad una sola e profonda ricerca, di spiritualità.
Sottolinea infine quanto sia stata radicale ed allo stesso tempo potente, la scelta di Foreman di lasciare tutto, nonostante fosse il campione del mondo, nonostante avesse fama, donne, case, auto e soldi, ma anche che, essendo appena trentenne, poteva ancora combattere se lo avesse voluto e riprendersi tutto, quindi alle persone stava regalando un messaggio vero ed autentico, ed è ciò che da fiducia, da credito presso la gente.
La chiamata termina con una richiesta che fa comprendere l’enorme spessore umano e valoriale di Foreman, che ricordiamo era al telefono con l’avversario che lo aveva battuto nell’incontro più famoso della storia del pugilato e che aveva contribuito alla chiusura precoce della sua carriera sportiva:
“Fratello, per favore, chiamami un po’ più spesso, tu e io siamo più vicini di quanto pensi. Saremo vecchi e amici insieme. Dovresti chiamarmi almeno una volta al mese, puoi farlo?
-Sì”.